Sono giorni difficili per la reputazione di Twitter. Il sistema di cinguettii californiano, che continua ad essere un grande successo specialmente negli Stati Uniti e viene continuamente citato come baluardo informativo nelle emergenze del pianeta (qualche volta a ragione, qualche volta no), dichiara ormai qualcosa come 175 milioni di utenti e, nella vulgata riassuntiva di molta stampa, è spesso paragonato a Facebook quanto a successo, diffusione e possibilità future.
Tuttavia non serve un esperto di social network per comprendere come Facebook sia chiaramente definibile come un luogo sociale di rete ampio e variegato, mentre Twitter fatichi ad allontanarsi da quella idea di semplice colonna cronologica informativa in eterno aggiornamento così come è sempre stato fin dagli esordi nel 2006. Ma a parte questa visione di insieme piuttosto intuitiva, negli ultimi giorni sono usciti un paio di studi molto interessanti sulla diffusione di Twitter che hanno contribuito a ridimensionarne fortemente portata ed aspettative.
Il primo lo ha pubblicato Yahoo! (leggero conflitto di interessi, ok) e parte da una analisi di 260 milioni di tweet pubblicati fra il 2009 e il 2010. La ricerca fornisce un dato piuttosto sconvolgente (o sconfortante, per Twitter, se volete) e cioè che oltre il 50 per cento dei messaggi propagati nel network sono prodotti da circa 20mila persone, lo 0,05 per cento degli iscritti. Il Principio di Pareto applicato ai social network (il 20 per cento delle persone produce l’80 per cento dei contenuti) viene insomma travolto e la quasi totalità degli iscritti a Twitter di fatto sembra non partecipare alla produzione di contenuti dentro il sistema. A cosa serve una rete sociale così ampia se un numero così ampio di persone che la frequentano (se la frequentano) se ne sta in silenzio?
A completare il quadro, qualche giorno fa Nicholas Carlson su Business Insider ha incrociato qualche numero su Twitter partendo da una serie di informazioni ricavabili dalle API del social network e si è chiesto quanti siano realmente i suoi utenti attivi, visto che la società dichiara pubblicamente solo il numero complessivo di profili (175 milioni appunto) aperti da quando il social network è stato fondato. Un numero, come si vede, volutamente steroideo e oscuro, specie se posto a confronto con i dati diffusi da Facebook che ci informano di come 600 milioni di utenti lo utilizzino ogni mese in tutto il mondo e di come la metà di questi apra la propria pagina addirittura ogni giorno.
Secondo le API di Twitter, con informazioni riferite al mese scorso, si è scoperto che ci sono 56 milioni di profili Twitter che non seguono nessun altro utente e altri 90 milioni di profili che non sono seguiti da nessuno. Una sorta di deserto dei tartari digitale insomma. Secondo l’analisi di Business Insider se decidiamo di definire come “attivo” un profilo Twitter che abbia un numero minimo di altri profili che segue, nel caso in esame otto, se ne deve dedurre che il numero reale di account Twitter utilizzati nel mondo oggi è di circa 56 milioni. Tali numeri scendono a precipizio con l’aumentare dei profili seguiti, per esempio il numero di utenti iscritto ad almeno altri 64 profili è pari a 1,2 milioni. Ho controllato, io che sono assai parco, ne seguo 92.
Secondo queste valutazioni insomma Twitter è oggi una sorta di terra di nessuno, fortemente spinta dai media mainstream che si riferiscono continuamente ai messaggi delle star televisive e dello sport e dalle analisi sociologiche sulle emergenze del pianeta, ma di fatto assai più marginale di quanto si sarebbe potuto immaginare in termini di diffusione informativa e conversazioni di rete.
Se a questi numeri, non esattamente entusiasmati, aggiungete le continue capriole al vertice della società (qualche giorno fa Evan Williams sul suo blog ha riaffermato la sua intenzione di dedicarsi ad altro) vi renderete conto di come il cammino di Twitter verso una propria riconosciuta centralità è ancora lungo e irto di difficoltà.
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