Nei giorni scorsi il team del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha deciso di porsi una domanda importante: cosa fare per rendere la comunicazione del governo più vicina ai cittadini, più efficiente, trasparente e creativa? La risposta è stata quella di attivare e consolidare una serie di presidi sul web molto ampi che vanno da un profilo della Casa Bianca su Facebook, una pagina su MySpace, una su YouTube, iTunes, Vimeo, Flickr, nonché un account presidenziale su Twitter.
La presenza in rete di Barack Obama è stato un tratto distintivo della sua campagna elettorale ed era quindi abbastanza naturale aspettarsi un medesimo approccio comunicativo “internet-centrico” nel momento in cui Obama è diventato presidente. Nello stesso tempo la presenza online della Casa Bianca oggi appare lo stesso forse più ampia di quanto ci si potesse aspettare, tanto che qualche commentatore americano ha scritto con affilata ironia: “ma Barack dove troverà il tempo?”
Whitehouse 2.0, come è stata ovviamente denominata questa iniziativa, presta il fianco ad una serie numerosa di considerazioni di segno opposto. La prima di queste è che Obama si è accorto da tempo che gli strumenti della comunicazione sono molto cambiati negli ultimi anni e che tale rivoluzione riguarda solo in parte i canali comunicativi utilizzati ma interessa anche, e soprattutto, il contenuto ed il tono dei messaggi che attraversano questi nuovi percorsi. Se YouTube può essere utilizzato, esattamente come una intervista ad un network televisivo o una conferenza stampa, come strumento divulgativo sui rischi legati alla recente influenza suina (si tratta del resto di un utilizzo ovvio e paratelevisivo già adottato perfino in Italia da alcuni ministri e parlamentari), l’approccio di Obama al web ci informa del fatto che un simile strumento può e deve essere indagato anche per “umanizzare” la figura del Presidente, addentrandosi in una sorta di parificazione dei rapporti con i cittadini.
Si tratta di un percorso non privo di rischi, il maggiore dei quali è quello della possibile banalizzazione dei messaggi. Se Whitehouse 2.0 mette su YouTube un video di Obama che si cimenta in qualche improvvisato tiro a basket insieme ai suoi ospiti, molti di quelli che non capiscono commenteranno: “ecco, lo vedi il Presidente? Invece che dedicarsi ai gravi problemi del paese gioca a pallacanestro”.
Eppure si tratta della messa in pratica di un processo che, se lo osserviamo con occhi neutrali, è già ampiamente iniziato nelle vite di milioni di cittadini in tutto il mondo. Una parte delle vita di ciascuno di noi si è trasferita in rete, in maniera tanto naturale che quasi non ce ne siamo accorti. Non si tratta obbligatoriamente di una raffinata scelta comunicativa del Presidente americano ma della nuova normalità di milioni di cittadini del mondo: il racconto delle cose piccole della nostra vita avviene oggi, sempre più spesso, dentro la rete Internet, viene affidato, con i limiti e i pregi conseguenti, alla memoria ed alla capacità divulgativa della rete.
Dentro una idea del genere le bellissime foto del profilo Flickr di Obama che Pete Souza ha scattato quasi di nascosto in questi mesi raccontando per immagini la vita quotidiana del nuovo Presidente americano, sono di una efficacia ed umanità dirompente e non è un caso che abbiano in questi giorni fatto il giro dei quotidiani di tutto il mondo. Quelle foto raccontano aspetti della personalità presidenziale che nessun altro strumento avrebbe potuto descriver con altrettanta efficacia. Quelle immagini dicono: attenzione ragazzi, il vostro presidente è uno di voi e se capita, esattamente come voi, utilizzerà uno di questi imbarazzanti, pulitissimi ed immensi corridoi per farci una corsetta col cane.
Esiste ovviamente anche un lato meno trionfale della medaglia di una iniziativa come Whitehouse 2.0 ed è quello della grande difficoltà di annullare una distanza che non può essere annullata. Del rapporto paritario che avvicina i cittadini in rete non è possibile prendere solo la parte positiva. E se così stanno le cose non è un mistero che la mediazione fra il presidente americano e i suoi interlocutori, seduti davanti ad un computer al di là di MySpace o Twitter, esce fortemente ridotta in valore dalla presenza di un indispensabile mediatore che è lo staff presidenziale. Poco importa se la capacità di raccontare rende tutto come se Obama in persona stesse davvero twittando (o bloggando).
Anche fidandosi dell’autenticità dell’iniziativa, ignorando insomma l’ipotesi sempre possibile che tutto questo agitarsi sia semplicemente (o diventi domani magari in mano ad altri soggetti) un circo finemente organizzato da un gruppo di storyteller pagati per affabulare il pubblico su quanto sia grande il sovrano, gli strumenti di comunicazione come i blog o i social network, utilizzati nella loro accezione più ampia, vale a dire quella della costruzione di un rapporto individuale con i singoli cittadini, sono oggetti a tutt’oggi ancora da indagare nel momento in cui tale rapporto non sia di fatto personale ma fortemente mediato e verticale.
In questa ottica, più che la capacità di raccontare per immagini, frasi e filmati la vita e le azioni (politiche e non) del Presidente americano, sarà importante osservare quale sarà l’attenzione dello staff di Obama verso strumenti e contributi di ritorno da parte dei cittadini verso l’amministrazione. Solo a quel punto lo slogan Whitehouse 2.0 potrà dirsi di senso compiuto.
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