Roma – E’ molto presto per capire cosa accadrà. Quel che è certo, è che la presentazione dei nuovi computer Apple con processore Intel avvenuta a San Francisco la settimana scorsa, nel corso di quella strana e vagamente mistica cerimonia annuale che ha come unico protagonista Steve Jobs (evento mediatico che qualcuno ha giustamente paragonato ad una messa, pur dal contenuto tecnologico) è destinata a ingarbugliare non poco convinzioni e punti fermi legati al mondo dei computer. Un mondo che fino a oggi ha vissuto anche di forsennate e spesso inutili contrapposizioni: fedi incrollabili e piccole guerre di religione (utenti Windows contro utenti Mac, sostenitori del software libero contro tutti, vecchi ed incrollabili aficionado dell’Amiga o fedeli sostenitori di OS2, antichi adoratori del Commodore64 od antesignani utilizzatori dello Spectrum zx) che avevano, se non altro, il pregio di segmentare con chiarezza gli schieramenti.
Da quando Steve Jobs, martedì scorso al Moscone Center ha presentato i primi due nuovi Macintel (una versione con processore Intel del già noto iMac ed un portatile di fascia alta che prenderà il nome di Macbook pro) tutto è diventato improvvisamente più complicato ed indistinto. Era noto da tempo, ma tutto sommato quasi nessuno aveva avuto modo di ragionarci su, che il passaggio di Apple ad Intel avrebbe avuto due implicazioni immediate molto evidenti e dall’esito incerto. La prima quella secondo la quale, sulle macchine marcate Apple sarebbe stato possibile far girare anche sistemi operativi Windows, l’altra quella che Apple avrebbe dovuto in qualche maniera attrezzarsi per evitare che il proprio software, scritto oggi anche per la piattaforma Intel, potesse venir utilizzato su macchine Windows.
Mentre sulla seconda questione Apple ha chiaramente detto da tempo che farà il possibile per evitare che i propri sistemi operativi possano girare anche su macchine differenti da quelle made in Cupertino, sulla prima, a margine della presentazione dei nuovi Macintel, Apple ha dichiarato con sicurezza che non ostacolerà in alcuna maniera l’eventuale installazione di sistemi operativi Microsoft sui propri computer.
Questa decisione è destinata a rivoluzionare in maniera significativa i rapporti fra l’utenza Mac e quella Windows, tradizionalmente contrapposte non solo da ragioni ideologiche, ma anche da ben più salde barriere architettoniche hardware. Oggi queste barriere sono, almeno in parte cadute, e gli utenti Mac e quelli Windows si trovano come i due celebri cani di Lorenz, ammutoliti dalla improvvisa scomparsa della staccionata che consentiva a ciascuno dei due di mostrare il proprio fiero ringhio all’avversario.
Davvero è immaginabile che qualche utente Mac decida di installare sulle proprie macchine, oltre al nativo Mac OS X, anche il sistema operativo di Bill Gates? La risposta corretta potrebbe essere: perché no? Alcuni utenti Windows, in questi giorni in giro per forum e blog , hanno sostenuto che, con questa ed altre scelte commerciali, ormai Apple si è del tutto integrata nel mercato dell’hardware per Windows e che tutto ciò servirà a sottolineare come le macchine della mela siano inutilmente costose e datate, rispetto agli omologhi computer Windows. Per altri sarà finalmente questa la resa dei conti che consentirà di chiarire, a parità di risorse hardware, pregi e difetti di un sistema operativo rispetto all’altro.
C’è insomma materiale per discussioni appassionate e senza fine.
Quello che mi pare nessuno abbia fino ad ora detto è che, tutto sommato, la compatibilità non è mai un difetto. Internet, qui di fronte a noi, è l’esempio migliore di come la compatibilità fra strumenti differenti sia oggi, a tutti i livelli, uno dei primi obiettivi da perseguire per integrare l’ambiente digitale dal quale siamo avvolti. Indipendentemente dalle valutazioni commerciali di Apple (che avrà ben considerato conseguenze ed opportunità di una scelta del genere) poter eventualmente portare Windows su un Mac può essere considerata solo e semplicemente una opzione in più, magari sufficiente a giustificare la differenza di prezzo con una macchina solo-Windows. Ma non solo. Senza addentrarsi in appassionate e un po’ barbose valutazioni sulle caratteristiche tecniche di questo o quel computer (è strano notare, a margine di questo, che molti sostenitori di questo o quel sistema operativo non hanno mai avuto occasione di utilizzare l’ambiente software che denigrano) l’utilizzo della medesima CPU forse consentirà ai vari produttori di hardware di migliorare certe caratteristiche delle macchine che producono. Magari avremo finalmente computer Windows silenziosi ed essenziali come un Mac o macchine Apple modulabili ed economiche come un assemblato Windows.
In attesa di capire quali saranno concretamente gli effetti di questa inedita contaminazione restano da segnalare, a margine della presentazione dei nuovi Macintel, i mugugni tutto sommato composti di molti utenti Mac indispettiti dal fatto che, da un giorno all’altro, Apple abbia reso disponibili computer dalle caratteristiche del tutto simili a quelle di un Powerbook acquistabile fino al giorno precedente, ma con velocità di calcolo quintuplicate. Vale per tutti la elegante lamentazione di Jason Kottke, blogger americano molto noto che ha scritto una breve ironica mail di richiesta al servizio assistenza Apple. La lettera dice più o meno: “Avevo appena comprato un nuovo powerbook del quale ero molto contento. Funzionava bene fino a poche ore fa quando avete annunciato questo nuovo MacBook Pro che pare vada da 4 a 5 volte più veloce, con la webcam incorporata ed il monitor molto più luminoso. Sto piangendo sulla tastiera. Tutto ciò è coperto dalla garanzia? E se lo è: mi inviate per cortesia un nuovo Macbook Pro in sostituzione?”
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