Web – Come molti, leggo spesso i post che compaiono nei gruppi di discussione su Usenet. Seguo qualche gruppo in lingua italiana e qualcuno in inglese. Ho sempre pensato che si tratti di una risorsa informativa impareggiabile. Continuo a pensarlo anche oggi, eppure negli ultimi tempi ho come la sensazione che esista una via italiana all’uso dei newsgroup (e più in generale agli ambiti dotati di interazione come anche per esempio i forum di Punto Informatico) e che nasconda qualche piccola insidia.
Si discute molto, in certi ambienti, di come sarebbe importante oggi per le aziende monitorare i newsgroup che, come nessun altro strumento, consentono di disegnare le esigenze, i gusti e le preferenze degli utenti. Qualcun altro le medesime opinioni dei consumatori cerca (riuscendoci) di renderle produttive costruendo comunità web come dooyoo.it e ciao.com , nelle quali l’orientamento di chi utilizza un bene o un servizio diventi contenuto per tutti. Si tratta solo di un paio di esempi di come il libero confronto fra le nostre più o meno rispettabili opinioni possa diventare un bene vendibile.
Eppure non è tutto oro quello che leggiamo su Usenet, anzi specie per quanto attiene ad ambiti di discussione caldi come quelli relativi per esempio ai disservizi delle compagnie telefoniche o degli ISP nei confronti dell’accesso a Internet, siamo travolti da una irrefrenabile attitudine al lamento. La comunicazione molti-a-molti è uno strumento potentissimo e nel contempo assai poco maneggevole: la piccola disputa, scatenata magari da una banale incomprensione, si amplifica e si confonde con mille altre. La sensazione che il lettore riceve è quella di essere capitato in un mondo in cui nulla funziona, dove l’azienda è ladra e truffatrice fino a prova contraria, dove l’unica forma di collaborazione considerata è quella dell’unione legale dei gabbati contro le frodi commerciali di questo o quello.
Usenet, nato come ambito di scambio collaborativo e positivo, diventa a volte (in Italia più che altrove) una specie di colorato ufficio reclami dove chiunque, dopo appena cinque minuti di down del proprio mail server, si affretta a scrivere in maiuscole di quanto il proprio provider faccia schifo e di come sia necessario riunire le forze di tutti per fargliela pagare. Tranne poi, accorgersi dopo poco, che tutto è tornato a posto senza bisogno di alcun intervento legale. Per farvi un esempio, ho utilizzato nel corso dello scorso anno un accesso flat a Internet che non ha mai avuto il minimo problema ed ha funzionato a pieno regime con mia ampia soddisfazione: se avessi dato retta a quanto leggevo a proposito del medesimo tipo di accesso su it.tlc.provider.disservizi non mi sarei mai sognato di sottoscrivere il contratto. Tali e tante erano le bocciature che riceveva. Sono solo stato fortunato? Può essere. In ogni caso chiunque abbia la pazienza di seguire quel newsgroup sperando di capire a quale ISP sia meglio rivolgersi, si accorgerà che il pollice verso per una ragione o per un’altra riguarda a turno tutti gli attori del mercato.
Qualcuno sostiene che la italica predisposizione al lamento abbia oggi una sua forma digitale: se così fosse sono molto dispiaciuto del fatto che ciò rimanga limitato ad una sterile predisposizione individuale. Non è un caso infatti che l’associazionismo degli utenti e dei consumatori, che la rete rende estremamente semplice e collaborativo, in Italia non sembra interessarci troppo, e che la voce degli utenti, là dove talvolta davvero servirebbe, giunga invece separata in mille lagnanze senza alcun peso.
Anche ai tempi di Internet restiamo in fondo quel “volgo disperso che nome non ha” .