Roma – Si cominciano a vedere in giro le prime contromisure dei pubblicitari alla crisi degli spot su Internet. Così ad occhio e croce – e lo dico da non addetto ai lavori – non sembrano troppo rivoluzionarie. I navigatori della rete cliccano poco sui banner pubblicitari? Gli investitori corrono a ridimensionare i loro programmi sul web? Le piccole start-up hanno definitivamente abbandonato l’idea di investire cifre superiori al 90% del proprio capitale societario per “farsi conoscere” in rete? Le risposte del marketing a questa caporetto (più annunciata che effettiva visto che gli investimenti pubblicitari su Internet sono mediamente aumentati del 100% nel 2000), scaturite probabilmente da furiosi brainstoming ai piani alti di grattaceli vetrocemento, sono disarmanti.
La prima è quella di aumentare (e di molto) le dimensioni dei banner web. Meno animazioni e più dimensioni; sembra questa l’idea partorita da alcuni creativi del marketing online. Assomiglia alle iniziative di concentrazione pubblicitaria che i fruitori della televisione commerciale italiana conoscono bene: i minuti/ora di occupazione pubblicitaria in TV si trasformano dentro una pagina web in numero di pixel di occupazione dell’area visibile. Qualche esempio: il New York
Times ci offre i cosiddetti “grattacieli”: banner pubblicitari, talvolta animati, che occupano il terzo laterale di destra della pagina, per tutta la schermata visibile e anche oltre. Voi leggete l’articolo, ridotto a una striminzita colonna allineata a sinistra e, mano a mano che proseguite nello scrolling della pagina (che per tale ragione risulta molto lunga), continuate ad avere lo spot sulla destra. Segnalo, a questo proposito, un terribile “grattacielo” in onda i giorni scorsi sul NYT, dove era possibile osservare l’animazione continua di un enorme aereo di passaggio. Inutile dire che la lettura del pezzo ne risultava “lievemente” disturbata.
Altro esperimento di moderna occupazione pubblicitaria della pagina è possibile visionarlo da qualche settimana sul sito di CNET , dove di dubbi su cosa vada evidenziato, a quanto pare, ne hanno avuti pochi: gli articoli circondano letteralmente un banner centrale grande 4 volte i soliti banner allungati cui siamo abituati. La sensazione netta, visitando tali pagine, è quella di navigare – invece che in un sito giornalistico – dentro un messaggio pubblicitario circondato da qualche ininfluente riga di testo. Un prezzo, anche in questo caso, alto da pagare alle necessità di rendere un buon servizio ai propri
investitori. Gradiranno i lettori (senza i quali è bene ricordarlo nessun banner grande o piccolo ha più senso)?
Chi ancora non si sentisse pronto alla sperimentazione di questi nuovi messaggi pubblicitari può sempre dedicarsi al marketing via email che secondo alcune analisi garantirebbe margini di attenzione superiori rispetto ai banner web, magari nella sua variante attualmente di moda: quella “virale”. Con la minacciosa espressione “viral marketing” si definisce semplicemente la capacità di sfruttare il passaparola per far conoscere un servizio o una società. Per fare l’esempio che tutti portano sempre, il piccolo messaggio di testo automatico in fondo alle mail spedite attraverso il servizio gratuito di Hotmail è un perfetto campione di passaparola che si estende con modalità appunto simili a quelle di un virus. Affascinante, poco invasivo ma non troppo riproducibile. Così tutti oggi vorrebbero fare pubblicità virale e quasi nessuno ci riesce.
Infine, l’ultima alternativa possibile sembra oggi quella della concentrazione di piccoli banner dentro le proprie pagine web: molti siti di largo traffico (anche italiani) hanno incrementato sensibilmente il numero dei contributi pubblicitari e si presentano con un aspetto “a mosaico” dove ogni tessera è un piccolo banner animato. Forse un piccolo record in tal senso lo ha raggiunto la raffinata rivista online Salon che, dopo anni di sobrietà e buon giornalismo, oggi risponde alla crisi finanziaria che l’ha colta (con il suo corollario di licenziamenti) tempestando le sue pagine di spot grafici di dimensioni minime (almeno 6 in una pagina normale degli ultimi numeri) e soprattutto cedendo a quella commistione fra informazione e pubblicità che il giornalismo americano prima del web ha sempre strenuamente avversato.
Su Salon oggi – a parte l’effetto mosaico – non è sempre ben chiaro se state cliccando su un link che vi porta alla recensione di un libro appena pubblicato o alla pagina di Amazon che vi consentirà di acquistarlo. E forse questo è anche peggio di un articolo che per poter essere letto vi obbliga a girare attorno ad un enorme immagine animata e interattiva che fa di tutto per distrarre la vostra attenzione.