Roma – Quella della fine del gratuito sembra quasi una battuta.
Da quando Tiscali ha inventato l’accesso senza canone alla rete Internet, il messaggio principale che abbiamo ricevuto dai grandi ISP e dai maggiori gruppi editoriali è stato: “Vieni in rete anche tu, lì tutto è gratis”. Non sono ancora passati due anni da allora e il messaggio, almeno in parte, sembra aver funzionato.
Restando a debita distanza dalle dichiarazioni di penetrazione di Internet nel nostro paese (l’ultima quella rilasciata da Enzo Cheli dell’Authority Comunicazioni il quale, parlando alla Commissione Bilancio della Camera, ha esposto i dati del boom degli utenti Internet in Italia, quasi che tale dato si dovesse spiegare come un risultato del lavoro dell’organismo che dirige) sembra il caso di ammettere che la politica delle opportunità gratuite in rete abbia attirato molti verso questo strano posto dove gli SMS sono free, i FAX pure; dove talvolta non costano nulla nemmeno le telefonate intercontinentali, dove si può scaricare software senza pagarlo, dove si trovano crack per software commerciali e decodifiche per canali satellitari a pagamento e dove, soprattutto, da qualche tempo a questa parte qualsiasi brano musicale è facilmente rintracciabile e scaricabile.
Come si vede, non sono necessari i presunti successi del Prof. Cheli per spiegare la diffusione dei collegamenti a Internet; la leva del gratuito ha colpito efficacemente proprio là dove i suoi inventori speravano: dentro le case di ciascuno di noi; ovunque, gli adolescenti che fino al giorno prima si erano disinteressati al computer del babbo, hanno cominciato (come gran parte dei suoi compagni di classe) a scaricare mp3 da Internet.
E così oggi suona quasi come una presa in giro la constatazione, avvalorata da tutti i maggiori analisti, del fatto che Internet non potrà più essere gratuita; che i fornitori di contenuti dovranno trovare il modo di farseli almeno in parte pagare, pena la scomparsa dal mercato. Quelli che fino a ieri si sono sbracciati per spiegarci che era importante l’idea e non la sua immediata redditività, oggi ci spiegano (con altrettanta convinzione) che nessuna grande idea può ripagare i suoi finanziatori fra tre o quattro anni e che il tempo delle fiduciose attese è da considerarsi finito.
E ‘ curioso ma ne prendiamo atto. Solo che è molto difficile farsi una idea di cosa potrà diventare a pagamento su Internet oggi.
L’informazione? Molto difficile. La strada intrapresa da tutti i grandi editori di rendere liberalmente accessibili sul web i numeri in edicola (e spesso anche porzioni consistenti degli archivi) sembra difficile da percorrere a ritroso.
L’accesso alla rete? Certo, ma a precise condizioni: soldi in cambio di qualità. E ‘ quello che accade già ora. Ipotizzare una scomparsa degli accessi senza canone a 56k sembra piuttosto difficile, anche se resta teoricamente possibile. Specie alla luce del fatto che essi fanno da volano alle proposte commerciali di accesso flat o adsl degli stessi ISP. E comunque ciò non accadrà fino a quando le compagnie telefoniche continueranno a guadagnare così tanto dalla tariffa a tempo.
Oppure si vorrà tentare la strada dei contenuti riservati ai soli sottoscrittori? Possibile ma perdente, a meno di non voler definire come “Internet” un’altra cosa. Un po ‘ quello che sta facendo Netsystem con Videoportal; anch’essa del resto incamminata sulla strada di una gratuità senza ritorno.
Che cos’altro rimane? Formazione a distanza? Certo, un settore in giustificata espansione ma da solo non sufficiente per coprire i costi del web. E poi? Telefonia via Internet, se si disporrà di banda sufficiente per consentire un largo utilizzo del servizio (il che a tutt’oggi sicuramente non è). E poi? E poi, basta. O quasi.
Vista dal punto di osservazione dell’utente finale, per il quale le montagne russe del Nasdaq o le depressioni del Nuovo Mercato sono semplici notizie da leggere distrattamente a colazione, la fine del gratuito non significa poi troppo. Semmai è il caso di registrare il fallimento di una idea sposata in fretta ed altrettanto in fretta colata a picco. Quella che bastassero un po ‘ di cookies che seguivano la mia scia sul web, un mezz’etto di pubblicità nella mia mailbox e la vendita delle quattro informazioni (false) che di tanto in tanto lasciavo in qualche form in giro per la rete, per pagare “il disturbo”. Bene, se questo non è servito, se i raffinati pensatori della net economy, una volta tirata una riga in fondo ai conti si sono accorti che questi non tornano, non è davvero colpa mia. Io ho fatto la mia parte. Ora venite pure a dirmi che qualcuno sta pensando di vendermi tutte le grandi idee che hanno animato la maggioranza dei portali nostrani fino ad oggi. Io la prenderò per quello che è: una battuta appunto.