Contrappunti.it/ La rivoluzione frettolosa

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di M. Mantellini. Nessuno che si prenda il disturbo di chiedersi se davvero la tecnologia sia sempre e comunque buona e giusta. Quello che è buono per gli altri sembra debba esserlo anche per noi
di M. Mantellini. Nessuno che si prenda il disturbo di chiedersi se davvero la tecnologia sia sempre e comunque buona e giusta. Quello che è buono per gli altri sembra debba esserlo anche per noi


Roma – Confesso che mi preoccupa la granitica certezza che pervade un po’ tutti circa la strada da percorrere in Italia come altrove per lo sviluppo di Internet. Tutti sembrano certi che essa sia unica, chiaramente tracciata e diffusamente condivisa. Troppo facile.

L’Europa è alla affannosa rincorsa di alcune scelte statunitensi (maturate per la verità ormai molti anni fa) che legano strettamente l’educazione all’uso delle nuove tecnologie. Una delle principali priorità dei nostri governi è quella di fornire al più presto a tutti gli studenti la possibilità di utilizzare i PC e la rete Internet durante il loro percorso formativo. Esiste la convinzione che ciò sia irrinunciabile a causa del rapido cambiamento del modo di lavorare che le nuove tecnologie stanno imponendo, e che un simile approccio sia buono e giusto sempre e comunque, se non altro per il fatto che tale orientamento ha generato benessere e ricchezza altrove.

Nel nostro paese non esiste alcuna forma di elaborazione culturale di questi concetti: nessuno che si prenda il disturbo di chiedersi se davvero la tecnologia sia sempre e comunque buona e giusta. Quello che è buono per gli altri sembra debba esserlo anche per noi.

Siamo di fronte a un mondo nuovo e quasi sconosciuto che richiederebbe forse qualche cautela in più, eppure l’onda positiva della tecnologia che ci migliorerà la vita non incontra ostacolo alcuno e viene riconosciuta da tutti come un postulato senza necessità di prova.

Gli intellettuali nostrani, che spesso si agitano e dissertano di questioni marginali e polverose, in questo caso nulla trovano da obiettare preferendo un composto silenzio. Educate pure i vostri figli a pane e PC, fatene dei professionisti dell’html, dei grafici del web, dei programmatori di software, degli amministratori di sistema e qualsiasi altra cosa vorrete, ma lasciateci in pace – sembrano dirci – con l’espressione di chi si è così tolto un peso. E la strada della tecnologia buona sempre e per chiunque non incontra dunque oppositori.

Qualche settimana fa a Washington l’ associazione Alliance for Childhood ha presentato alla stampa un rapporto dal titolo “Fool’s gold: a critical look at computers in childhood” la cui lettura mi sentirei di consigliare a tutti i genitori che amano Internet. I contenuti di questo lavoro sono forse discutibili ma quello che va sottolineato è che in un paese come gli USA nel quale Clinton sta affrontando lo sforzo finale per dare un PC ad ogni studente, prenda vita un movimento d’opinione forte e motivato che tenta di discutere ciò che fino ad oggi era indiscutibile.

L’Alliance chiede in definitiva che si abbandonino in USA le scelte automatiche in materia di educazione e nuove tecnologie, che non si buttino milioni di dollari per avvicinare ai PC i bambini delle scuole materne e delle elementari in nome del principio grossolano “prima si comincia meglio è” e che si consideri come il violento cambiamento che i computer hanno portato nella vita dei più giovani possa essere fonte anche di potenziali rischi per la salute e la socialità.

E ‘ stato calcolato che i bambini americani dai 2 ai 18 anni passano in media 4 ore e 45 minuti al giorno al di fuori dell’orario scolastico collegati (plugged) a media elettronici di qualsiasi genere; l’Alliance sostiene che, almeno nella prima parte del periodo formativo, debba essere preferita all’interazione con le “macchine” una vita sana fatta di relazioni forti coi genitori, giochi creativi, movimento, lettura, favole, etc e che il precoce avvicinamento dei bambini ai PC debba essere valutato anche nei suoi aspetti negativi quali quello di facilitare l’obesità, i danni fisici da microtraumi, e una certa tendenza all’impoverimento cognitivo e della capacità di immaginazione.

Si tratta di un movimento con qualche connotazione eccessiva che ben traspare e che origina da una certa onda tecnofobica sempre esistita in alcuni strati della società intellettuale americana e non è un caso che accanto a firme illustri di neurologi, pediatri ed educatori nella “a call for action” di Alliance for childhood compaia la firma di alcuni famosissimi cavalieri dell’odio per Internet quali il noto astronomo e divulgatore scientifico Clifford Stoll.

E se anche così fosse, se la vasta schiera di esperti scesa in campo fosse animata da una improbabile incapacità di accettazione del “nuovo”, la domanda fondamentale di una revisione critica di quanto si sta facendo e perché resta comunque centrale e valida per chiunque in USA come nel resto del mondo:

“I computer, davvero “connettono” i bambini al mondo?”.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
9 ott 2000
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