Roma – Dalle nostre parti, capita spesso che i Ministri parlino per sentito dire e accade continuamente che i politici, specie su faccende che non comprendono come quelle tecnologiche, rilascino dichiarazioni standard identiche a quelle dei soci e a quelle degli avversari. Sapete perché? Perché il giusto tecnologico è, nella semplificazione elementare di chi “si fida”, sempre e solo uno, garantito al limone da analisti e ruminatori di numeri e statistiche.
Ricordo sufficientemente bene le interviste che la signora Giovanna Melandri diffondeva qualche anno fa quando era responsabile telecomunicazioni del PDS, nelle quali informava noi cittadini della inopportunità di cablare le città data l’esistenza di altre tecnologie (DSL) altrettanto efficienti e assai meno dispendiose. Recitava, la fascinosa Giovanna nazionale, la poesiola che altri avevano scritto per lei, nella convinzione che la tecnologia tanto è unica e senza troppe implicazioni. Che morto un sistema se ne fa un altro, migliore, più veloce e meno costoso. Chissà cosa ne pensa la Signora Melandri dell’insensato cablaggio in fibra ottica che sta sforacchiando le nostre grandi città. Avrà mai sospettato per un istante di essere stata allora presa in giro?
La poesiola sulla tecnologia che in tanti in Italia abbiamo dovuto ascoltare nell’ultimo anno è quella che l’UMTS, il wireless di terza generazione (3G), sarà la nostra salvezza, che ci consentirà di primeggiare nelle nuove tecnologie che ci renderà finalmente un paese all’avanguardia. Provate a scrivere o dire che non è vero. Vi rideranno in faccia.
Lo Stato si appresta a confezionare un accordo diabolico con le compagnie telefoniche che partecipano all’asta UMTS. Lo si potrebbe sintetizzare nell’assunto: “Dateci molti soldi e in cambio fate ciò che vi pare per otto anni”. Proprio perché la tecnologia è “buona” per definizione nella mente dei semplici, lo si poterebbe considerare un accordo rispettabile (fatti salvi alcuni piccoli problemi irrisolti come quello dell’elettrosmog), una specie di contratto di affitto fra soggetti solvibili. Eppure resta evidentissimo che l’approccio culturale a cosa si potrà fare con il 3G, è nel nostro paese un “non problema” nel senso che viene demandato interamente dagli amministratori, che sarebbero coloro che dovrebbero farsene carico, alle società telefoniche. Si tratta di una traslazione deprecabilissima: come decidere di sostituire gli insegnanti delle scuole elementari con dei venditori di merendine. O di videogiochi.
Però oggi, con qualche ritardo, si comincia a scrivere “autorevolmente” (sull’ ultimo numero di The Economist, per esempio) che l’UMTS non sarà necessariamente l’affare del secolo, che fare videoconferenza su uno schermo da pochi pollici è una cretinata, che Internet potrà essere fruita solo in minima parte (o a prezzo di complicazioni tecniche e costi non indifferenti) attraverso i terminali mobili. E che per tutto il resto un telefono resta un telefono.
Qualche mese fa il direttore generale di una delle compagnie in gara per le licenze UMTS mi scrisse una breve mail il cui senso si potrebbe così riassumere: “Perchè ti mostri così dubbioso sul futuro successo dell’UMTS quando tutti mi dicono il contrario?”. Al mio interlocutore di allora e agli altri investitori del 3G non serve certamente la raccomandazione di leggere l’ultimo numero dell’Economist. Lo hanno sicuramente già fatto. Si sono già posti il problema di cosa si potrà (leggi “converrà”) vendere, e come, attraverso la nuova rete mobile. Ed è un problema che, lo confesso, mi interessa marginalmente.
Grosse variabili di natura finanziaria influenzano le previsioni su UMTS e riguardano l’esposizione economica delle telecom, i lunghi tempi previsti per il rientro dagli investimenti nonché lo scarso entusiasmo attuale delle borse per i titoli telefonici stessi. Il giudice ultimo sarà comunque il bizzoso utente che spesso ha ribaltato previsioni ed attese decretando il successo di tecnologie e modalità di utilizzo diverse da quelle attese. Quello che in Italia naviga poco in rete, adora i cellulari, ignora il WAP e si sballa di SMS. Ciò che succederà lo vedremo non prima di due anni. Troppi, per molti analisti.
I nostri politici digiuni di lingue diverse da qualla madre e lontani anni luce da una informazione personale e libera, forse non leggeranno l’articolo del settimanale economico inglese (certi fogli li usano come tappezzeria quando vengono intervistati o ricevono ospiti) e continueranno a credere alla fitta rete di conoscenti e amici che si intendono di Internet e che troppo spesso sono quelli che Internet la vendono. Fidarsi è assai meno dispendioso di informarsi. E così continueranno a ripetere in giro poesie mandate a memoria.
La filastrocca del’UMTS che ci porterà davanti a tutti gli altri la sentiremo ancora per un po ‘. Ma è una storiella con troppe certezze esibite con noncuranza. Nel frattempo forse i costi delle licenze scenderanno un po ‘, alle telecom verrà lasciata mano libera consentendo loro di gestire sia la rete fisica che i contenuti che la attraverseranno e poi staremo a vedere cosa accadrà.
Se l’UMTS non dovesse funzionare per le aziende delle comunicazioni ci sarà qualche conto in più da sistemare, per lo sviluppo tecnologico del paese un gap ulteriore da colmare, per i nostri politici una piccola nuova poesia da imparare a memoria.