Roma – La notizia forse più importante della settimana appena trascorsa è quella della annunciata decisione del MIT , una delle più note Università tecniche americane, di rendere liberamente disponibili i propri corsi universitari su Internet. Fra pochi mesi sarà possibile, in tutto il mondo, seguire le lezioni di una delle più note e stimate fabbriche del pensiero del pianeta semplicemente accendendo il computer di casa propria. La chiamano “disseminazione della conoscenza nell’epoca di Internet” e, a differenza di tante altre iniziative che oggi cavalcano la formazione a distanza come nuova possibile fonte di lucro per università e intermediari vari, quella del MIT è una iniziativa “seria”, orientata nella direzione di quella biblioteca universale per tutti che Internet da anni rende teoricamente possibile.
Il ritardo accumulato dalle strutture universitarie nel rendere liberamente disponibile quanto esse producono ( nel caso italiano a spese del contribuente) è oggi forse più evidente di qualche anno fa. I vari corsi universitari del MIT scenderanno invece “online” a partire dalla seconda metà del 2001 con una previsione di disponibilità di circa 500 corsi in rete nei prossimi due anni e mezzo e la prospettiva di raggiungere i 2000 entro un decennio. Oggi uno studente spende circa 50 milioni all’anno per frequentare il MIT: il progetto annunciato che prende il nome di MIT OpenCourseWare (da notare l’assonanza con il termine open source) prevede la disponibilità dei medesimi contenuti in maniera assolutamente gratuita per chiunque ne faccia un utilizzo non commerciale.
Questa notizia, una bella notizia, rimanda ai ritardi del vecchio continente dove si registra una diffusa arretratezza ideale nei confronti delle sviluppo della rete come strumento di libertà. Mentre il MIT e le altre università di punta americane convertono oggi con velocità rapidissima lo studio e la ricerca in progetti innovativi e commerciali (sono ormai centinaia le startup in USA nate dalla collaborazione fra studenti e professori universitari) nel nostro vecchio mondo fatto di rettori settantenni (mi viene in mente a tal proposito che l’attuale consigliere alla sicurezza di Bush, Condoleezza Rice è stata a soli 39 anni rettore a Stanford), baronie grandi e piccine e aule sovraffollate, il massimo della conversione del mondo accademico alle nuove tecnologie è rappresentata da alcuni progetti di formazione accademica a distanza come quella di Laureaonline proposto dal Politecnico di Milano assieme a Kataweb (che attraverso Somedia chiede a ogni studente “a distanza” 4.000.000 lire + iva all’anno solo per il know-how tecnico) o da qualche progetto di biblioteca online come quella di tesionline che propone la consultazione di tesi di laurea al modico prezzo di circa 50.000 lire l’una.
La discesa online delle università italiane poi, pur in graduale svolgimento, sembra per ora focalizzarsi più sugli aspetti organizzativi (iscrizioni, piani di studio, informazioni varie per gli studenti) che non sul rendere disponibili nozioni e dati della ricerca ancora evidentemente percepiti come possibile merce di scambio.
Il MIT indica oggi chiaramente la strada da seguire: aprire le porte della conoscenza a tutti. Si tratta di un imperativo che dovrebbe essere valido anche da noi se non altro per fugare il dubbio che dietro una facciata austera e compita i templi della conoscenza nostrana nascondano paurosi egoismi. O, peggio ancora, altrettanto paurosi vuoti.