Roma – La foto più brutta fra quelle che ho visto questa settimana, sul web e fuori, è senza dubbio quella di un bambino in un esterno mentre porta al guinzaglio il suo cagnolino robot. Non fateci troppo caso, chi scrive è fra quelli che ancora restano leggermente orripilati nel vedere un pargolo di due o tre anni a cavallo di una moto elettrica invece che di una più sana bicicletta. In questo caso il contrasto fastidioso mi sembrava quello fra l’ambiente esterno e il piccolo cane metallico. Capisco bene quale possa essere il divertimento per un bimbo nel possedere, fra i suoi troppi giocattoli, anche un animale meccanico: supera ogni mia comprensione che si pensi ad una reale sostituzione di un animale domestico con la sua versione cyber da portare a fare i suoi bisogni in strada.
Non vorrei essere frainteso. Io amo la tecnologia: utilizzo i computer da troppi anni anche nelle sue applicazioni ludiche (nonostante l’età) e non ho mai pensato che si debba utilizzare l’informatica solo per le cose serie. Eppure resto fulminato di fronte a cose simili.
Mi dicono che la bestia meccanica con fattezze (molto alla lontana) canine si chiami Aibo e venga prodotta con soddisfazione da Sony. Li definiscono robot da intrattenimento di seconda generazione e già la definizione racconta molto di quanto ci sta accadendo.
Per circa 3,5 milioni di lire oggi è possibile acquistare un piccolo robot a quattro zampe, con una specie di elmetto in testa del tutto simile a quello degli agenti antisommossa che siamo abituati a vedere in TV (anch’essi curiosamente mutuati da certi look visti in film di largo successo quali Robocop), che è capace di movimenti molto vari e articolati (alcuni dei quali molto poco canini) sapientemente illustrati in un breve streaming raggiungibile presso il sito web europeo di Aibo.
Dal suo scuro casco antisommossa Aibo è in grado di comunicarci sei emozioni diverse: felicità, tristezza, rabbia, sorpresa, paura e disgusto. Lo fa attraverso piccole colonne sonore, movimenti del corpo e luci che si accendono sotto l’elmetto.
Il cane si ricorderà il nome che riterrete di dargli e non c’è troppo da meravigliarsene, visto che il cuore di Aibo è un processore RISC a 64 bit che comanda una quindicina di motori, consente di registrare e riconoscere l’audio, scattare foto (sempre da sotto il malefico casco nero) insieme a moltissime altre cose. Aggiungendo un kit di sviluppo dal costo di qualche centinaia di migliaia di lire è possibile perfino incrementare il numero e il tipo di movimenti, le sfumature del carattere ed aggiungere altre caratteristiche. E possibile anche condividere via Internet questi miglioramenti con altri cani simili.
Le emozioni possono essere “editate” e forse in questa caratteristica lievemente mengeliana va ricercata la ragione della falsa notizia comparsa su Bugtraq secondo la quale Aibo, per un bug del software che lo comanda, azzannava i bambini. Difficile crederci, anche se l’informativa era firmata nientemeno che dal CERT, non foss’altro perchè il cane della Sony non ha i denti e nemmeno la bocca.
A riprova della mia ormai cronica mancanza di sintonia col mondo che mi circonda, e perfino qualche volta con quello della tecnologia, sento dire che l’enorme interesse che il robot da intrattenimento di Sony sta suscitando in tutto il mondo ha convinto la casa giapponese a procedere ad una sua più rapida commercializzazione. Quando ero piccolo io, il massimo della tecnologia era una cordicella sulla schiena del cane di peluche, tirata la quale era possibile (non sempre) ascoltare uno strano rumore simile ad un ‘baù. L’editor di sentimenti di Aibo era ancora fantascienza. Eppure mi sorge il sospetto che quel rumore proveniente dalla pancia del mio cane di peluche fosse per mio padre un segno dei tempi che andavano già allora rapidamente guastandosi. Esattamente la stessa sensazione che provo io oggi ad osservare l’immagine di un bambino felice, in un prato con al guinzaglio un cane robot che, da sotto un casco da guerriglia, scatta foto al mondo.