Roma – La tragicommedia del voto presidenziale americano, in onda in questi giorni sugli schermi di tutto il mondo, ha mostrato alcune cose interessanti. La prima è che ormai la velocità e l’efficacia della informazione in rete hanno raggiunto e superato quella dei media convenzionali. Non tanto per quanto riguarda il brevissimo tempo che intercorre fra evento e sua rappresentazione, quanto per la velocità con cui su Internet è possibile approntare luoghi di approfondimento e discussione preclusi ai media informativi convenzionali. Si veda al proposito il sito www.perpetualelection.com aperto “al volo” da alcuni giornalisti e tecnici informatici americani nella giornata di venerdì e dedicato alla never ending story Bush e Gore per la presidenza americana.
La struttura che sta alle spalle di perpetualelection, mutuata da Slashdot di cui utilizza il motore, consente a chiunque di partecipare alla formazione del processo informatico (anche al limite in forma anonima ) ed è un luogo, presentato in forma di bacheca elettronica, con molte affinità con la logica di Usenet. Il valore aggiunto alla discussione lo dà il web stesso: i vari intervenuti sfruttano abbondantemente link esterni a fonti informative disparate (dalla CNN a siti web autoprodotti). Il risultato di tale operazione, interamente open source, è dirompente poichè in un unico ambito dall’interfaccia semplicissima è possibile accedere alle fonti informative Internet, partecipare attivamente alla discussione in atto, essere noi stessi propositori di un argomento di discussione.
Perpetualelection gira su un server Linux con MySQL come database, mostra una interfaccia grafica semplicissima, intuitiva e senza fronzoli e i suoi autori dichiarano molto chiaramente di non avere un orientamento politico di gruppo, di non rappresentare alcuna società, di voler garantire che ciascuno possa dire ciò che vuole.
A proposito di parole in libertà, sempre in relazione alle elezioni americane, è interessante sottolineare come, dal fallimento della conta dei voti in Florida, sia derivata anche una schizofrenia manifesta nei confronti della tecnologia. La stessa tecnologia che consente esercizi di grande libertà di pensiero e di grande maturità come perpetualelection.com, sembra voler in qualche misura mescolare le carte in tavola. Al Gore, l’inventore di Internet (come lui stesso si definì in una famosa gaffe di qualche anno fa), uno dei maggiori sostenitori fin dai primi anni novanta delle autostrade digitali, alle prese con il sospetto di irregolarità all’interno dei seggi elettorali, chiede e ottiene la conta manuale dei voti.
Che si tratti di una temporanea rinuncia alla centralità delle macchine? Mai come nella passata campagna presidenziale i candidati sono stati investiti da quesiti di natura tecnologica. Sono stati costretti ad esprimere un parere pubblico non solo sul digital divide o sulla causa antitrust contro Microsoft, ma persino su Napster e piccolezze simili. E così oggi, a urne chiuse, le parti sembrano invertirsi con Bush che fa dichiarare a James Baker, capo del suo staff legale: “Le macchine non sono né repubblicane né democratiche e perciò non potranno mai essere coscientemente o incoscientemente influenzate”. Qualcuno ironicamente ha scritto a tale proposito che Bush sembra aver cambiato il motto della sua campagna elettorale da “I trust the people” a “I trust the machines”.
Il 55% degli americani, secondo CNN, pensa che l’impasse attuale nelle elezioni americane sia un problema serio. Resta da calcolare quanti americani pensino che affidare la scelta del proprio presidente ad un computer sia un metodo imparziale e privo di rischi.
In un paese dove l’apologia della tecnologia e la fiducia incondizionata in essa è quasi una marcatura genetica, che l’inventore di Internet in persona invochi un ritorno al pallottoliere la dice lunga sulla disperazione dell’operazione.
In attesa che qualcuno vada a spiegare a George Bush che, con qualche maliziosa riga di codice in più, qualsiasi macchina può invariabilmente riscoprirsi una fede democratica. O repubblicana.