Roma – Fra i tanti numeri che ci capita di leggere riguardanti Internet ve ne sono alcuni differenti dagli altri. La grande maggioranza dei dati italiani sullo sviluppo della Rete, sulla sua popolarità, sui suoi possibili sviluppi futuri, subiscono in genere lievi o importanti sofisticazioni. L’esempio più ovvio che tutti i navigatori di Internet in Italia conoscono è quello che riguarda il numero di utenti dei servizi di accesso alla rete.
Infostrada, Telecom, Tiscali, Kataweb, e tutti i grandi fornitori di collegamento a Internet annunciano dati strabilianti sul numero dei loro clienti, li pubblicano in comunicati che orienteranno le scelte di investitori ed azionisti ostinandosi a mettere sullo stesso piano utenti paganti e sottoscrittori gratuiti. Milioni di utenti di Internet in Italia si vaporizzerebbero in un istante se solo si volesse contare le loro teste invece dei loro “Accetto” in fondo a un contratto online di accesso gratuito alla rete che moltissimi sottoscrivono con molti o tutti i provider gratuiti disponibili.
Siamo costretti a leggere i numeri con una inevitabile accettazione della piccola o grande falsità in loro contenuta: si tratta di cifre fornite quasi sempre dai diretti interessati, spesso in prossimità di quotazioni in borsa, spessissimo declinati con enfasi quasi fossero un incoraggiamento a unirsi al folto gruppo di fortunati che già utilizzano i medesimi servizi. E non è un caso che le società che rendono disponibili numeri non influenzati dall’interesse privato in Italia siano giovanissime (e assai benvenute) e si contino sulle dita di una mano.
Si è compreso in ritardo quanto sia importante che soggetti indipendenti fotografino il mercato nella maniera più neutrale possibile visto che quanti in genere sarebbero deputati a farlo – penso in particolare alle Università – quando hanno prodotto statistiche sulla penetrazione di Internet e delle nuove tecnologie in Italia in questi anni lo hanno fatto sponsorizzate e stipendiate da soggetti (Telecom, Infostrada, Microsoft etc.) fortemente interessati alla “buona riuscita” della ricerca.
Però ogni tanto si leggono numeri differenti.
Come quelli diffusi da Eytan Adar e Bernardo A. Huberman dello Xerox Research Center di Palo Alto che hanno analizzato le modalità di interazione degli utenti del sistema di file sharing Gnutella nell’arco di 24 ore. Un lavoro scientifico originale, indipendente e ben fatto che ci dice una cosa quasi ovvia: dentro le reti peer to peer sono molti più quelli che cercano di quelli che condividono.
Il 70% di quanti navigano dentro Gnutella non rende disponibile agli altri sconosciuti utenti alcun file mentre gran parte dei files scaricabili si ritrovano in 314 host rispetto ai 31.000 circa dello studio. Il “free riding” degli utilizzatori di Gnutella è stato subito interpretato in tutti i suoi risvolti sociologici, primo fra tutti quello secondo il quale la maldisposizione a condividere ciò che si ha con gli altri determinerà la scomparsa del P2P.
Se nessuno condivide, la rete fra “pari” perde di significato e viene travolta dall’egoismo di quanti la utilizzano, diventando un giocattolo inutile – sostengono le voci interessate di quanti vedono nel file sharing un pericolo per il copyright, la proprietà intellettuale, l’originalità dei contenuti e, molto spesso, i propri interessi . Anche in questo caso più che di una analisi si tratta di una speranza.
Il codice di Gnutella nato dalla mente geniale di Justin Frankel, un ragazzo poco più che maggiorenne che dopo aver venduto la sua prima creatura Winamp e la sua società, la Nullsoft, ad AOL per una cifra vicina ai 100 milioni di dollari, ha prima scritto e diffuso (da dipendente del colosso AOL-Time Warner) il codice open source di Gnutella (e poi, sei mesi dopo, un simpatico software chiamato AIMazing che elimina le pubblicità dal noto messager della società per cui lavora) naviga ancora dentro i mille problemi della alpha version in cui è rimasto confinato dopo la sua diffusione pubblica.
Per risolvere la tendenza al free riding saranno sufficienti alcune piccole limitazioni tecniche simili a quelle adottate da Napster per costringere gli utenti di Gnutella a rendere disponibili almeno in parte i loro files o parte della loro banda, ma per la sofisticazione di numeri e risultati di ricerche e analisi che ogni giorno ci vengono proposte, appare sempre più necessario che chi i numeri produce sia autonomo e trasparente. Fino a a quando gli “osservatori Internet” saranno finanziati dagli stessi soggetti che dai risultati della ricerca ottengono vantaggi diretti o indiretti, ci vedremo costretti a leggerli con quel senso di leggerezza che riserviamo alla letteratura minore: la stessa letteratura di margine che da una ricerca come quella di Adar e Huberman è in grado di estrapolare scenari futuri improbabili e foschi ma stranamente coincidenti con i propri personalissimi interessi economici.