Web (internet) – Non ho sotto mano le Leggi di Murphy per condensare in una frase la pratica in uso da parte dei nostri politici (e non solo) di affrontare i problemi allargando la rosa dei “responsabili”. E tuttavia tutti conosciamo la tendenza diffusa, in Italia più che altrove, di far seguire alla creazione di Commissioni per questo o quel problema, quella di Sottocommissioni che a loro volta designano Comitati di zona i quali ineluttabilmente eleggono responsabili e commissari. La polverizzazione delle responsabilità come metodo per allontanare i problemi, piU’ che per risolverli.
Se le cose stanno così la nascita di un Ministro per Internet, annunciata con enfasi dal governo, individuato nella persona del sottosegretario diessino Stefano Passigli, è tutt’altro che una buona notizia. Intanto perché nei suoi tre o quattro anni di attività (unendo in una ideale continuità di intenti il governo Prodi e quello D’Alema) l’esecutivo ha prodotto su Internet solo chiacchere, spesso di qualità, emesse ad alto volume ma pur sempre parole senza seguito alcuno. Poi perché le prime dichiarazioni del senatore Passigli, raccolte dai giornali, hanno sparso nell’aria un odore di generico e già sentito che non fa presagire nulla di buono.
Colpisce in particolare l’ampiezza dei compiti che Passigli chiama a sè. In una materia in cui nessun politico ha finora mosso una foglia ecco finalmente chi si ripromette di occuparsi del commercio elettronico, del controllo dei contenuti leciti in rete, della “borsa online” (cosa sarà mai poi?) e perfino delle tariffe per l’accesso alla rete.
Insiste il sessantunenne Ministro della Innovazione (denominazione che sembra presa pari pari da Orwell) sulla necessità di “preparare i nostri ragazzi a saper utilizzare le tecnologie” e lo ripete con tale convinzione che sorge spontanea una domanda: “E il senatore Passigli come se la cava con le nuove tecnologie?”. Accanto alla necessità di alfabetizzare le nuove leve (che fortunatamente molto fanno da sole senza attendere gli incentivi del governo) esiste infatti una forse più urgente necessità di affidare le sorti dello sviluppo tecnologico del paese a persone che abbiano una seppur vaga idea di cosa sia.
E’ del resto chiara, nelle creazione di questo nuovo sub-ministero, l’intenzione del governo di emulare una figura istituzionale che ha avuto un ruolo importante nella politica delle reti della amministrazione Clinton negli anni scorsi: quella del “responsabile delle cose di Internet”, compito egregiamente condotto per anni da Ira Magaziner in piena autonomia e con grandi poteri decisionali. All’autorevolezza di Magaziner, dimessosi qualche mese fa, si deve almeno in parte la velocità con cui la rete è decollata in USA.
Aspettiamo allora, con più di un imbarazzo ma anche con interessata curiosità le future mosse della nuova autorità italiana per Internet: perché affrontare un mondo complesso e nuovo che non si conosce per nulla è premessa sufficiente per creare disastri peggiori di quelli derivanti dalla ormai cronica e abituale inattività cui siamo stati, nostro malgrado, abituati.