Web – Pensate per un momento al panorama nazionale in questi tempi di rivoluzioni tecnologiche.
I media sono genericamente allineati alle esigenze dei potenti; il libero associazionismo di base non si è mai sviluppato, almeno numericamente, e non può quindi esercitare alcuna concreta funzione di controllo sul mercato; i politici che eleggiamo aumentano ogni giorno la distanza fra i loro interessi e quelli dei cittadini fino ad occuparsi di faccende che nessun attinenza hanno con la nostra vita reale. In una situazione tanto deprimente le opportunità di Internet come nuovo strumento di comunicazione e scambio ne escono pesantemente ridimensionate.
Quasi nessuno sui media italiani parla del “file sharing” se non per sottolinearne l’illegalità. E pensare che nell’evoluzione di Internet siamo a un crocevia importante. Piccoli software di nuova generazione (Napster, Wrapster, CuteMX, Gnutella) oltre che favorire alcune violazioni connaturate con il mondo digitale e la riproducibilità dei formati, consentono oggi di saltare a pié pari la lottizzazione del web. Collegano gli utenti senza intermediari e come è noto l’intermediario è una delle figure più sopravvalutate della società moderna. E una delle più potenti.
Così, mentre gli intermediari (le associazioni dei discografici, quelle dei produttori di software, quella dei moralisti, dei giornalisti, dei controllori della quiete pubblica, e quella finale e numerosa dei commercianti) saltano sulla sedia e frustano i loro legali perché non è possibile che su Internet il mio hard disk possa condividere il contenuto di quello di un altro individuo dall’altra parte del mondo, nessuno capisce che la vera rivoluzione oggi è pensare a Internet come a un tubo, piuttosto che come ad uno spazio.
Immaginate lo sgomento che deve aver colto quanti hanno lavorato in questi anni per rendere il web un ambito “sicuro”, adatto alle transazioni economiche, libero da pedofili, pirati del software, terroristi arabi, nel momento in cui si accorgono che grandi masse di utenti Internet si stanno spostando altrove, al di fuori dei confini del “piano regolatore” che qualcun altro aveva organizzato per loro.
Chi e soprattutto “come” sarà possibile spegnere Gnutella, programma open source nato dall’infortunio di una software house del gruppo AOL-Time Warner, decentralizzato e leggerissimo, attraverso il quale gli utenti internet condividono direttamente qualsiasi tipo di file e quindi oggi, di fatto, qualsiasi tipo di “conoscenza”?
Se in passato le armi degli intermediari erano più d’una (anche se spesso parecchio ridicole e inefficaci) come la censura di siti web, l’incriminazione di amministratori di sistema, il divieto di esportazione di programmi di criptazione, l’analisi delle scelte e dei comportamenti dei navigatori della rete attraverso i cookies, la lotta all’anonimato, l’incorporazione di funzioni nascoste in programmi liberamente scaricabili, l’osservazione del comportamento dei singoli individui all’interno di chat e communities, oggi quali potranno diventare? Come potremo essere meglio “difesi”, “consigliati”, “indirizzati” e “aiutati”? Se Internet è un tubo tutto si complica maledettamente.
In questa ottica di “perdita di controllo” è normale che i giornalisti scioperino contro la deregulation dell’informazione online: ormai larga quota della loro retribuzione dipende non dal successo presso i lettori di quanto scrivono – cosa volete mai che contino i lettori – ma dalla congruenza con le esigenze del gruppo economico editoriale da cui dipendono. Scioperano contro Internet in effetti i giornalisti italiani, e fanno bene: trovano inconcepibile che ci si possa consentire il lusso di rifiutare notizie e concetti preconfezionati e addomesticati. I contenuti, ci dicono paternalmente, devono essere controllati alla fonte: devono essere “veri”, devono essere “selezionati” . E chi meglio di loro può farlo?
Già, è un bel problema trovarla questa benedetta “fonte”: specie se si è, come i giornalisti italiani insieme a noi, in mezzo al mare, senza neppure essersene accorti.