Web (internet) – Spegnete i riflettori, non è successo nulla.
Lasciate perdere i titoli dei quotidiani, ignorate le sparate delle lettrici dei telegiornali nazionali. Allontanate dalla vista le orrende scemenze che le agenzie di stampa hanno sputato fuori a raffica negli ultimi tre o quattro giorni, lasciate perdere i tecnicismi di chi viene chiamato a illustrare cosa significhi un “denial of service attack”.
Yahoo è stato spento per tre ore, Amazon, Ebay, E Trade e Buy per meno. Nessuno segreto è stato violato, nessuna privacy compromessa, nessun numero di carta di credito rubato. Come è noto, qualche fesso ha giocato ad inondare di richieste alcuni fra i più visitati siti web della rete: il risultato è stato che i media hanno inondato noi di stupidaggini in quantità ben superiore a quella necessaria per abbattere Yahoo una decina di volte.
Come scrive giustamente Scott Rosemberg su Salon sembrerebbe quasi, a leggere le notizie dal fronte di questa inesistente cyber-guerra, che noi non si abbia altra scelta se non quella di attendere barricati in casa, che i pirati sgancino le loro bombe sulla nostra privatissima testa.
Tutto ci induce a pensarlo, dalle dichiarazioni di Janet Reno – che a nome del governo americano dice “prevenire i cybercrimini è una delle nostre priorità” – alle preoccupate corrispondenze dal campo di battaglia di tanti inviati, felici di aver dato per una volta e liberamente fondo a ogni sorta di metafora guerresca disponibile nel dizionario dei sinonimi. “Siamo sotto attacco”, gridano dalle pagine news della rete, i responsabili di Buy.com, azzoppati dai “criminali” proprio il giorno della quotazione della loro società al Nasdaq. A noi, seduti davanti al PC dall’altra parte dell’oceano, pare quasi di sentire i fischi delle granate e di intravedere il fumo delle esplosioni.
Sette italiani su dieci (a questo punto sembrerebbe a ragione) hanno così rapidamente sviluppato “l’incubo da hackers”, anche se, come è noto , il termine hacker significa tutt’altro. Di questi preoccupati navigatori della penisola, un terzo si dichiara addirittura “colpito da attacchi di panico per uno stop di Internet”. Lo scrive l’Ansa, citando una fantomatico studio della “prima agenzia italiana sulla comunicazione online” Eta Meta che ha intervistato 472 utenti di Internet. Ogni commento anche in questo caso è inutile.
I rischi (e le strumentalizzazioni) di comportamenti del genere sono facilmente prevedibili: invocazioni di nuove più rigorose leggi, tentativi di limitare la natura “diffusa” di Internet in nome di una tranquillità teorica e di una protezione dai pirati informatici, incitamento all’emulazione di atti tecnicamente banali ormai alla portata di tutti attraverso l’utilizzo di software facilmente scaricabili online).
E pensare che la natura diffusa e decentrata di Internet è proprio la ragione principale della inefficacia di atti del genere che potranno, per tale ragione, anche quando andati a buon fine, avere sempre e solo valenza dimostrativa. Se non ci fossero stati i media infatti – scrive ancora Rosemberg – nessuno si sarebbe accorto di nulla. Diverso è il discorso invece dal punto di vista delle società fatte oggetto di attacco: a parte una modesta flessione azionaria, infatti, la lezione imposta loro da quanto accaduto in questi giorni è quella della sopravvenuta consapevolezza di doversi attrezzare in fretta contro eventi del genere, al di fuori di situazioni di emergenza (che non esistono se non nella rappresentazione dei media) e di interessate estremizzazioni. Il gioco in atto in questi giorni è sempre lo stesso: si utilizzano le gesta di quattro ragazzotti idioti per raggiungere altri ben più importanti scopi.
I gendarmi e i giudici se ne stiano alla larga. Non è successo niente. Qui si tratta di scrivere qualche riga di codice per rendere un server resistente agli assalti dall’esterno: tutto il resto è una già nota e ben orchestrata commedia. Sono in troppi a far finta di non saperlo.