La corte d’appello di Filadelfia ha respinto le accuse federali e due casi depositati in California e che cercavano lo status di class action, intentati nei confronti di Google per violazione della privacy degli utenti attraverso i siti visitati con il browser Safari.
A muovere le accuse sono stati per primi quattro utenti della California ed il procuratore generale di New York Eric Scheneiderman: al centro delle accuse vi era l’ utilizzo illecito di cookie per raccogliere dati relativi alla navigazione degli utenti Safari . Secondo le denunce questi sarebbero stati in particolare tracciati anche se le impostazioni del browser erano impostate per proibirlo .
La causa sembrava essere stata risolta da Mountain View in via stragiudiziale: dopo che un giudice del Delaware aveva respinto la class action avviata da utenti iOS, BigG aveva raggiunto un accordo con il procuratore Scheneiderman per far cadere le accuse da lui mosse sull’utilizzo illecito di cookie su Safari.
Tuttavia le indagini federali sulla questione non si erano concluse, così come la causa dei quattro utenti californiani: nel frattempo anche nel Regno Unito Google è stata chiamata alla sbarra con le stesse accuse.
Tuttavia ora negli Stati Uniti il cielo sembra schiarirsi per Google: il Giudice Julio Fuentes della Corte federale ha riferito che l’accusa ha mancato di stabilire il danno creato dal tracciamento .
Sulla questione in sé, tuttavia, il giudice è in parte entrato nel merito: per quanto riguarda la posizione di Google si è limitato ad accontentarsi delle promesse e delle sanzioni che ha accettato di pagare tra il 2012 ed il 2014, ma per il resto ha meglio spiegato la natura e la possibilità di accesso ai dati di navigazione degli utenti.
Sul punto la sentenza appare particolarmente importante: la raccolta di dati e il monitoraggio degli URL visitati dagli utenti attraverso i cookie possono rappresentare una violazione della normativa sulle intercettazioni, come già sostenuto degli utenti di Facebook, anche in quel caso senza riuscire a dimostrare i danni subiti, con la conseguenza che per accedere a tali tipi di dati le autorità avranno bisogno di un mandato.
Insomma, la sentenza favorevole a Google rischia di segnare la strada relativa all’accesso a tali tipi di dati ed in particolare la questione dell’estensione della tutela del Quinto Emendamento .
Claudio Tamburrino