Era stato annunciato agli inizi dello scorso dicembre: Google avrebbe presto estirpato dai suoi risultati di ricerca le mele marce del file sharing. Un articolo apparso tra le pagine online della testata TorrentFreak ha ora annunciato quello che è stato da più parti vista come una nuova campagna di censura dei vari contenuti del web. La Grande G ha praticamente smesso di suggerire risultati come RapidShare, Megavideo e BitTorrent .
In altre parole, queste chiavi di ricerca sono state eliminate dai servizi di suggerimento automatico Autocomplete e Instant . Gli utenti del motore di ricerca più sfruttato del web non potranno digitare parole come Lady per poi vedersi suggerire istantaneamente query come Lady Gaga BitTorrent . I principali alfieri del torrentismo , insieme a vari servizi di file hosting come appunto RapidShare e Megavideo, sono stati così allontanati da certe ricerche rapide sul search engine di Mountain View.
Google aveva già stilato una specifica blacklist di parole indecenti, estromesse dal servizio Instant perché relative a contenuti pornografici o che potessero urtare certe categorie di utenti. L’inclusione dei vari tracker BitTorrent – così come dei cosiddetti cyberlocker – era stata annunciata in seguito ad un’imponente tornata di modifiche per combattere al meglio la pirateria in Rete. Secondo qualcuno, un modo per piegarsi alle resistenze dell’industria del disco e del cinema a stelle e strisce.
Un’ipotesi probabilmente confermata da alcuni dettagli rivelati da TorrentFreak . Il blocco da Autocomplete e Instant non riguarderebbe tutti i tracker BitTorrent: piattaforme come The Pirate Bay, BitComet e BitLord verrebbero ancora restituite dai risultati automatici di Google. Così come servizi di file hosting simili a RapidShare, tra cui HotFile e MediaFire . La domanda nascerebbe spontanea: perché un trattamento diverso a seconda delle fonti?
Non solo. I risultati di ricerca legati al tracker cinese Xunlei sarebbero ancora in piedi, nonostante quest’ultimo sia il più vasto torrente che fluisce in terra asiatica. Che sia una semplice coincidenza il fatto che Google abbia investito cinque anni fa circa 5 milioni di dollari nella società che gestisce la piattaforma Xunlei? Qualcuno ha parlato di una specifica lista inviata dalle associazioni dell’industria dei contenuti all’azienda di Mountain View.
Decisamente poco soddisfatti operatori come RapidShare e BitTorrent, che sono tornati a sottolineare come la loro presenza online sia del tutto legittima. Milioni di utenti sfrutterebbero tracker e servizi di file hosting per accedere a contenuti legali, come ad esempio software open source. Bloccare i risultati automatici rappresenterebbe una vera e propria discriminazione, causata da un collegamento non certo totale con la condivisione selvaggia dei contenuti.
Mauro Vecchio