La Corte regionale di Colonia è tornata sulla sua decisione: aveva permesso al detentore di diritti d’autore su contenuti a luci rosse di risalire agli intestatari degli abbonamenti Internet a cui erano associati gli indirizzi IP colti a visualizzarli.
Il caso vede la produttrice svizzera a luci rosse Abmahner e la società legale Urmann and Colleagues (U+C) chiedere agli utenti tedeschi in media 250 euro per ogni clip visualizzata sul portale pornografico Red Tube .
Il piano è subito apparso molto simile ad un ricatto: spingere i malcapitati a pagare per evitare la messa in piazza dei propri vizi privati conseguente all’apertura di un procedimento giuridico.
Dal punto di vista legale il problema è legato non solo ad una richiesta di pagamento molto simile ad un ricatto, ma anche alla tutela della privacy degli utenti e all’inadeguatezza dell’indirizzo IP come mezzo per individuare inequivocabilmente un utente con una responsabilità legale.
Così, aveva sollevato stupore la decisione della Corte regionale di Colonia che in un primo momento aveva imposto all’ Internet Service Provider Deutsche Telekom di passare a U+C i nominativi corrispondenti agli indirizzi IP sotto accusa: presupposto per l’invio di decine di migliaia di lettere di richiesta di pagamento da parte degli avvoltoi del copyright a luci rosse.
Ribaltando questa scelta, la Corte ha spiegato che non trattandosi di download o altra forma di violazione diretta del diritto d’autore, ma di streaming, una fattispecie non sufficientemente affrontata dalla giurisprudenza, gli utenti non possono essere considerati responsabili di ciò che viene divulgato su un determinato sito , e tantomeno sarebbero da ritenersi in obbligo di verificare il rispetto del diritto d’autore da parte di chi mette a disposizione i contenuti.
Contro U+C e la produttrice svizzera si erano schierati diversi studi legali tedeschi in rappresentanza di gruppi di persone che si erano visti recapitare le missive con le richieste in denaro. L’avvocato Christian Solmecke che rappresenta 600 cittadini tedeschi ha accolto la nuova decisione come “un punto di svolta” e ha spiegato che, anche se inusuale, probabilmente “la corte non aveva letto attentamente i documenti nella prima istanza del procedimento, dando per scontato che si trattasse non di streaming ma di condivisione di file”.
Claudio Tamburino