Copyright, i sequestri e l'idra pirata

Copyright, i sequestri e l'idra pirata

Il caso di Kino.to dimostra che la strada da battere non è quella della pura repressione: l'abbattimento di uno degli snodi principali dello scenario pirata non determina l'automatica conversione degli utenti alla legalità, non se il mercato legale non è all'altezza della situazione
Il caso di Kino.to dimostra che la strada da battere non è quella della pura repressione: l'abbattimento di uno degli snodi principali dello scenario pirata non determina l'automatica conversione degli utenti alla legalità, non se il mercato legale non è all'altezza della situazione

L’Europa guarda con attenzione ad una riforma del diritto d’autore che sappia instradare gli stati membri verso la costruzione di un mercato dei contenuti vivace e attrattivo per il consumatore: e se da un lato si affollano le proposte per armonizzare il quadro normativo, dall’altro l’Unione Europea incoraggia un’analisi attenta delle possibilità repressive nei confronti della pirateria. È in questo contesto che si inquadra uno studio che prende in esame il caso Kino.to , raccoglitore di link a contenuti video condivisi dagli utenti chiuso dalla giustizia tedesca nel 2011.

Dal titolo Online Copyright Enforcement, Consumer Behavior, and Market Structure , lo studio condotto dallo European Commission’s Joint Research Center intende scavalcare la parzialità dei dati messi a disposizione dell’industria e analizza le reazioni dei cittadini della Rete alla improvvisa sparizione di Kino.to, punto di riferimento degli utenti tedeschi per lo streaming di contenuti caricati in violazione del copyright: l’obiettivo è quello di soppesare costi e benefici di un’operazione dispendiosa in termini di impegno per le forze dell’ordine e per la giustizia, sollecitata anche in ambito comunitario per le ramificate operazioni che hanno coinvolto le autorità e gli intermediari degli stati membri nel tentativo di contrastare l’attività del sito.

L’analisi dei ricercatori al servizio della UE si concentra dunque sul traffico di rete tracciato da Nielsen NetView per un campione di 5mila utenti tedeschi, che fino ai primi giorni di giugno 2011 potevano approfittare degli 1,3 milioni di link a 21mila film, 7mila documentari e 106mila episodi di serie TV ospitati dal portale.
Fino a prima della chiusura, Kino.to è stato visitato dal campione almeno 6mila volte a settimana. I ricercatori hanno selezionato 15 siti alternativi a quello oggetto di analisi per effettuare un raffronto: il secondo sito pirata più visitato era movie2K.to, che in quel periodo contava meno di 750 visite settimanali da parte degli utenti monitorati, con Kino.to che dominava con il 79 per cento del market share.

Traffico

I dati raccolti dai ricercatori mostrano come la chiusura del sito abbia intaccato le abitudini pirata per pochissimo tempo, il tempo necessario all’adattamento degli utenti alla consultazione di altre fonti.

Lo studio ha poi monitorato l’interesse degli utenti per i contenuti legali : è stata tenuta traccia delle visite ai siti di servizio dedicati a conoscere l’orario degli spettacoli cinematografici, nonché alle piattaforme dedicate all’acquisto di prodotti per l’home video e ai siti che offrivano in vendita contenuti per il download o lo streaming. L’impatto della chiusura di Kino.to, hanno osservato i ricercatori, si osserva solo sul consumo di contenuti digitali, e soprattutto presso i più affezionati utenti del sito. I tassi di pirateria, nelle prime quattro settimane dall’intervento delle forze dell’ordine sono calati del 30 per cento, assolutamente non compensati dal ricorso a piattaforme legali (+2,5 per cento). Si tratta di una crescita irrilevante, spiega lo studio, potenzialmente imputabile all’ incapacità dell’offerta di incontrare le esigenze della domanda , con cataloghi e prezzi che non hanno saputo catturare l’interesse dei consumatori abituati alla pirateria.
A catalizzare l’attenzione degli orfani di Kino.to ci sono state soprattutto le allettanti alternative pirata.

Siti alternativi

Se movie2k.to, la piattaforma che prima del giugno 2011 si posizionava con molto distacco alle spalle di Kino.to, riesce ad avvantaggiarsi dopo la chiusura, a garantirsi un’ascesa di particolare rilievo è stato kinox.to, pressoché un clone del precedente dominatore: lo sprito di adattamento dei consumatori è pari a quello degli operatori del mercato pirata, capaci di riorganizzarsi immediatamente e di trarre vantaggio dai repentini cambiamenti del panorama e agevolati dal fatto che i contenuti fossero ospitati su piattaforme diverse dai siti colpiti dai provvedimenti, e quindi si potessero riproporre ai netizen con un semplice link.

Siti alternativi

La chiusura di Kino.to, sottolineano i ricercatori “ha alterato profondamente il mercato tedesco dello streaming video non autorizzato” ma non ha contribuito alla sua contrazione a favore delle alternative legali: semplicemente il sottobosco dei siti che traggono profitto da contenuti altrui “è diventato meno concentrato e più competitivo”.

I ricercatori avvertono che lo studio va considerato con la dovuta prudenza: lo scenario tedesco, in precedenza dominato dall’attrattiva di Kino.to, potrebbe poi differenziarsi molto da altri mercati nazionali, magari in origine più competitivi. In questi contesti, fare in modo che il rapporto tra costi e benefici dell’intervento di chiusura pesi a favore di un sequestro potrebbe essere ancora più complesso, poiché la chiusura di un sito non saprebbe garantire nemmeno il repentino contrarsi del consumo pirata da parte degli utenti dipendenti da una sola fonte dominante. La chiusura di Kino.to, dando origine a un mercato più frammentato, non potrà che complicare altri eventuali interventi da parte della giustizia.
Diverso, è lecito immaginare, sarebbe probabilmente lo scenario configurato da un approccio più sistemico alla repressione : incoraggiate anche dalle autorità europee, sono numerose le iniziative improntate al modello follow the money e volte a fare terra bruciata intorno al business della pirateria, coinvolgendo gli intermediari dell’advertising e dei pagamenti e sollecitandoli a non supportare la piattaforme che lucrino sui contenuti altrui. Se questi programmi davvero ingranassero, verrebbero a mancare le motivazioni perché l’idra della pirateria si dibatta per prosperare.

Lo studio sottolinea poi come non sia stato possibile rivelare l’eventuale aumento del consumo di contenuti legali al di fuori della Rete, e invita a considerare il fatto che nel 2011 il panorama dell’offerta legale digitale fosse ancora arido rispetto a quello attuale. È probabilmente su questo aspetto che l’industria deve convincersi a lavorare, nella direzione già intrapresa da un mercato che progressivamente si sta lasciando convincere dai successi di piattaforme come Netflix.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
15 mag 2015
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