Il noto caso LimeWire è ormai giunto al suo capitolo finale , dopo ben cinque anni di scontro a fuoco con gli alti rappresentanti della Recording Industry Association of America (RIAA). Mark Gorton, founder del popolare client P2P, ha dunque stretto la mano ai signori statunitensi del copyright, avendo già pubblicamente confessato tutti i suoi sbagli.
Le parti in causa hanno alla fine trovato un decisivo accordo, che compensi le grandi major dopo i brani scambiati da milioni di utenti. I legali della RIAA hanno trovato un’intesa con quelli di LimeWire, siglando un armistizio da 105 milioni di dollari . Decisamente meno degli assurdi 75mila miliardi chiesti alla fine di marzo dagli avvocati del diritto d’autore.
Stando alle precedenti indiscrezioni, Mark Gorton avrebbe potuto pagare alla RIAA una cifra oscillante tra i 7 milioni e gli 1,4 miliardi di dollari . Evidentemente, il giudice non ci sarebbe andato giù leggero: un motivo in più per accettare una pax legale da più di 100 milioni di dollari. Denaro che Gorton provvederà a prelevare – almeno secondo l’accusa – da almeno due conti multimilionari.
La cifra pattuita è certamente più elevata degli effettivi profitti generati da LimeWire in anni d’attività, che dovrebbero aggirarsi tra i 20 e i 30 milioni di dollari . Il client era successivamente precipitato nel baratro dopo l’ordinanza emessa dal giudice Kimba Wood, che aveva subito portato alla fine di tutti gli scambi. Da lì, un vero e proprio calvario legale per Mark Gorton.
Soddisfazione da parte del chairman e CEO della RIAA Mitch Bainwol, che ha sottolineato come LimeWire abbia arrecato danni enormi all’intera comunità musicale, bruciando migliaia di posti di lavoro e la stessa creatività degli artisti . L’ormai arcinoto caso Grokster continuerebbe a mietere vittime, con la legge a stelle e strisce pronta a bastonare tutti quei servizi che offrono agli utenti la possibilità di condividere contenuti, anche in maniera selvaggia.
Mauro Vecchio