Agli avvoltoi del copyright non basta trascinare in tribunale frotte di utenti accusati di aver scaricato illecitamente film pornografici il cui diritto d’autore è detenuto dai propri assistiti. Quando la denuncia non è abbastanza imbarazzante, calano un carico aggiuntivo: nelle scartoffie legali citano titoli che alludono a inequivocabili pratiche sessuali. Ma la giustizia statunitense non ci sta.
Malibu Media , nota alle cronache come casa di produzione a luci rosse impegnata nella crociata della tutela ad ogni costo delle proprie opere, è impegnata su diversi fronti nei tribunali statunitensi. Attivissima nel rivolgersi alla giustizia per denunciare anonimi assegnatari di indirizzi IP colti in fallo nel file sharing per identificarli e chiedere risarcimenti, è già stata trascinata in tribunale dagli stessi destinatari delle denunce, decisi a dimostrare come gli indirizzi IP non possano identificare un colpevole . Capace di innescare l’ ostruzionismo dei provider, restii a prestare i propri servizi per consegnare i dati relativi agli utenti, e dopo aver scatenato l’ira dei tribunali, convinti che il suo modus operandi rappresenti uno spreco di risorse per il sistema giudiziario, Malibu Media è stata colpita ora da una ulteriore reprimenda.
Oggetto della condanna, uno dei documenti che Malibu Media è solita allegare nelle proprie denunce: l’ exibit C . Il testo, prove aggiuntive a sostegno dell’accusa, contiene una serie di titoli di film su cui la casa di produzione non detiene i diritti , associati a indirizzi IP avvistati sulle reti di sharing battute per stanare potenziali colpevoli. Se le opere di Malibu Media si contraddistinguono per velati ammiccamenti alla pornografia, decisamente espliciti sono i titoli contenuti negli exibit C , che lambiscono la pedopornografia e promettono opere a sfondo zoofilo.
La giustificazione di Malibu Media per aver chiamato in causa contenuti di proprietà altrui? Servirebbero a contestualizzare le violazioni rilevate, a tracciare un profilo del colpevole, per dimostrare la sua abitudine al file sharing, e a contenuti scandalosi .
EFF era intervenuta nei mesi scorsi a difesa dei numerosi John Doe identificabili a mezzo indirizzo IP, segnalando come Malibu Media allegasse gli exibit C alle proprie denunce prematuramente e illegalmente , e con uno scopo ben preciso: oltre a solleticare la morale di coloro che sono incaricati di giudicare il caso per tentare sottilmente di orientarne l’opinione, i titoli citati nei documenti del processo finiscono per ricadere sulla coscienza di chi viene accusato della condivisione illegale. Nel momento in cui i giudici accordano a Malibu Media la possibilità di dare un nome all’indirizzo IP con la collaborazione dei fornitori di connettività, inevitabilmente il titolare di un abbonamento a Internet riceve i documenti dell’accusa. Nel quale sono elencati tanto i titoli soft di Malibu Media quanto i titoli hard afferenti ad altre case di produzione. Malibu Media non può sporgere denuncia per il materiale altrui, ma ottiene in ogni caso il risultato di spaventare gli accusati: chi non preferirebbe sottacere la passione per il porno pagando un risarcimento, piuttosto che mettere a nudo i propri pruriti? Chi, seppure innocente, vorrebbe affrontare la giustizia per dimostrare di non apprezzare illegalmente certi contenuti?
Il giudice William Conley della corte del Wisconsin incaricata di valutare il caso ha ora aderito alla segnalazione di EFF: “Non c’è alcun vantaggio nel depositare pubblicamente questo documento in forma integrale – si legge nella decisione – se non quello di intimidire e imbarazzare gli imputati per spingerli rapidamente ad un accordo”. Malibu Media, di fatto, starebbe abusando del sistema giudiziario con metodi illegali ed è per questo che il giudice Conley ha proibito di mettere in atto la strategia dell’ exibit C : “il potere di un tribunale di chiedere una testimonianza (quella del provider, chiamato ad identificare l’abbonato coriispondente all’indirizzo IP, ndr ) non può essere più sfruttato da un avvocato per forzare degli accordi più rapidi e consistenti attraverso espliciti riferimenti al presunto abuso di materiali ancora più scandalosi o potenzialmente imbarazzanti protetti dal copyright di soggetti che non siano suoi clienti”.
Malibu Media dovrà pagare 200 dollari per ognuno degli 11 casi che sta portando avanti nel tribunale del Wisconsin. La natura illegale del business montato sulla tutela del copyright senza veli, rilevano gli osservatori , è sempre più scoperta.
Gaia Bottà