Dovrà procurarsi oltre 40mila dollari e restituirli ad Atlantic: si chiude così il caso della famiglia Howell, uno dei pochi incentrati sulla violazione del copyright a mezzo P2P che abbia affrontato il tribunale.
Jeffrey Howell aveva sperato di rappresentare lo spartiacque nella annosa contrapposizione tra l’industria dei contenuti e gli utenti accusati di pirateria. La macchina di Howell era stata stanata e scandagliata con il sistema di monitoraggio MediaSentry : una manciata di file musicali erano stati rintracciati nella cartella dedicata alla condivisione del client P2P Kazaa. Howell aveva affrontato l’accusa in tribunale, aveva ribattuto ai legali di Atlantic di non essere responsabile di alcuna violazione: i file, aveva spiegato Howell, erano stati ottenuti in maniera perfettamente legale, venivano utilizzati per uso strettamente personale e risiedevano in una cartella destinata alla condivisione a causa dell’intervento di non meglio precisati hacker. A dimostrare la propria innocenza, si era difeso l’uomo, il fatto che nessuno in rete avrebbe avuto accesso all’archivio dei file di casa Howell.
Le contorsioni argomentative di Howell non erano servite a convincere i giudici incaricati di valutare il caso. Poi, l’intervento di Electronic Frontier Foundation ( EFF ): i legali della Foundation avevano contribuito a chiarire la differenza tra distribuire e mettere a disposizione , avevano sottolineato come le leggi che tutelano il copyright non contemplino la tentata distribuzione e come la famiglia Howell non potesse essere accusata di alcunché, a meno che non fosse stato provato l’ effettivo trasferimento dei file coperti da copyright.
La tesi di EFF ha iniziato ad attecchire nei tribunali statunitensi. Nonostante l’industria dei contenuti abbia sfoderato una originale strategia legale per ripristinare l’equivalenza tra mettere a disposizione e distribuire , la corte distrettuale che si occupava del caso Howell aveva aderito alla linea interpretativa di EFF e aveva stabilito che “la violazione del diritto alla distribuzione richiede un’effettiva disseminazione di copie o registrazioni”. Il caso Howell avrebbe potuto costituire un importante precedente , avrebbe potuto costringere l’industria dei contenuti ad orchestrare nuove strategie per sostenere le proprie rivendicazioni ma è sfumato in un errore commesso dall’accusato.
Jeffrey Howell, nonostante le raccomandazioni, ha in più occasioni occultato le prove che avrebbero potuto scagionarlo, che avrebbero potuto provare la sua innocenza dimostrando come i file archiviati nella cartella condivisa di Kazaa non fossero mai stati scaricati da alcun netizen. I periti assoldati da RIAA hanno dimostrato come Howell abbia goffamente tentato di cancellare le tracce della propria attività di sharing: l’uomo ha rimosso il client P2P dal proprio computer, ha formattato l’hard disk, ha cancellato ogni traccia della presenza di Kazaa. Così come era avvenuto nel caso di TorrentSpy , né accusa né difesa hanno potuto provare le proprie ragioni e il caso è stato liquidato addossando al responsabile dell’occultamento multa e responsabilità.
Howell dovrà risarcire Atlantic con 40.500 dollari e promettere di non violare più il diritto d’autore. Il suo caso avrebbe potuto rappresentare per i netizen sotto accusa una roccaforte inespugnabile per difendersi nella crociata condotta dell’industria contro il file sharing.
Gaia Bottà