Il classico gioco del gatto col topo, con i signori del copyright alla caccia di contenuti pirata nei quattro angoli del web. Dal blocco degli indirizzi IP al sequestro dei domini illeciti, i legittimi titolari dei diritti le stanno provando tutte per arginare le attività di condivisione su piattaforme di file hosting e reti BitTorrent.
Per un gruppo di ricercatori della Boston Northeastern University le misure estreme adottate dall’industria cinematografica o musicale non avrebbero alcun effetto deterrente per limitare il fenomeno pirateria, almeno non in maniera significativa . Come la leggendaria idra, i pirati dell’audiovisivo hanno un numero pressoché infinito di teste digitali.
A partire da migliaia di file sulle principali piattaforme del file sharing, i ricercatori statunitensi hanno sottolineato come quelli rimossi in base al Digital Millennium Copyright Act (DMCA) rappresentino solo una goccia nel vasto oceano della condivisione. Da RapidShare a Uploaded, la rimozione di contenuti illeciti non ha certo fermato gli utenti .
Riportando un esempio pratico , lo studio dell’ateneo di Boston ha rinvenuto quasi 10mila domini differenti da una ricerca sul popolare search engine FilesTube. La sola query “dvdrip” ha restituito più di mille domini che sfruttano circa 700 indirizzi IP per la distribuzione di materiale in violazione del diritto d’autore.
Come suggerito dagli stessi ricercatori a stelle e strisce, misure alternative come il blocco degli account su PayPal o dei ponti offerti dalle principali società di credito potrebbero risultare decisamente più efficaci. La chiusura di Megaupload avrebbe semplicemente frammentato e dunque ampliato la disponibilità dei contenuti pirata, disseminati su servizi differenti.
Mauro Vecchio