Una buona informazione per debellare il coronavirus

Il coronavirus e l'importanza dell'informazione

L'emergenza legata alla diffusione del coronavirus testimonia una volta di più quanto sia importante e necessaria un'informazione sana e non viziata.
Il coronavirus e l'importanza dell'informazione
L'emergenza legata alla diffusione del coronavirus testimonia una volta di più quanto sia importante e necessaria un'informazione sana e non viziata.

Quel che sta accadendo a Wuhan e da un punto di vista più ampio in tutta la Cina con la propagazione del coronavirus non ha precedenti nella storia per diversi motivi. Senza addentrarci in considerazioni di carattere puramente scientifico (che lasciamo a chi è più preparato di noi) quel che osserviamo trattando quotidianamente argomenti legati al mondo online e alle modalità di circolazione delle informazioni è come la diffusione della malattia stia rendendo più che mai visibile la natura ambivalente dello strumento tecnologico: supporto di fondamentale importanza e valore aggiunto nell’affrontare l’emergenza, ma anche arma a doppio taglio se viziato da dinamiche falsate.

L’informazione per debellare il coronavirus

A cosa facciamo riferimento? Per comprenderlo meglio iniziamo prendendo spunto dalle parole di Karla Satchell, docente di microbiologia e immunologia della Northwestern University Feinberg School of Medicine (Chicago), riportate sulle pagine del Washington Post. Nel suo intervento sottolinea come istituti di ricerca privati e pubblici di tutto il pianeta si siano attivati fin da quando l’agente patogeno 2019-nCoV ha iniziato a manifestarsi, arrivando in pochi giorni a definirne la sequenza genetica resa poi liberamente accessibile e disponibile a chiunque abbia intenzione di offrire il proprio contributo.

Il ritmo non ha precedenti. È una cosa davvero nuova … Questo è il momento di non interessarsi all’ego personale, a chi arriva primo, concentrandosi solamente sulla risoluzione del problema. Il flusso delle informazioni viaggia molto veloce.

L’approccio open della ricerca

Nei laboratori della Purdue University (Indiana) si lavora per sintetizzare un principio attivo che si spera possa contrastare l’azione del coronavirus, partendo dagli studi svolti ormai quasi due decenni fa quando esplose l’epidemia di SARS. Gli stessi ricercatori hanno ipotizzato che la modalità di infezione è la stessa che nel 2002-2003 ha causato più di 800 vittime e oltre 8.000 contagi. Poche ore dopo loro colleghi del Wuhan Jinyintan di Wuhan hanno confermato la tesi.

Senza una comunicazione diretta, aperta e senza filtri, senza questo approccio open, non sarebbe stato possibile compiere un passo in avanti. Il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Maryland) afferma che anche grazie a questo oggi si pensa di poter arrivare all’ottenimento di un vaccino efficace in tre mesi (questo, è bene precisarlo, non significa che entro 90 giorni sarà disponibile su larga scala). Un periodo non breve considerando l’aumento quasi esponenziale dei casi sospetti o confermati, ma di gran lunga ridotto se confrontato con i venti mesi impiegati per quello della SARS.

Ciò di cui ora non abbiamo bisogno

Su queste stesse pagine abbiamo segnalato iniziative e donazioni da parte di aziende che siamo soliti trattare per ben altre questioni, da Apple a ZTE, fino alla Bill & Melinda Gates Foundation, suggerendo alcune fonti affidabili alle quali rivolgersi per aggiornamenti e notizie, inclusa una mappa con i casi certificati realizzata sulla base dei dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, utile per evitare che sensazionalismi, teorie del complotto e clickbait contribuiscano a formare un clima di tensione di cui oggi nessuno ha bisogno.

Non possiamo però al tempo stesso girarci dall’altra parte quando vediamo rimbalzare sulle bacheche dei social allarmi ingiustificati, articoli in cui si attribuisce a soggetti non meglio precisati la responsabilità di aver volontariamente o meno dato il via la contagio o comparire in cima a Google Trends la notizia relativa all’associazione tra “coronavirus” e una nota marca di birra che richiama il nome della malattia (come accaduto oggi), ripresa da un numero non indifferente di testate. Tutto legittimo, ma forse non è questa l’informazione di cui c’è necessita, almeno ora.

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Pubblicato il
29 gen 2020
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