Al termine dell’ormai consueta conferenza stampa in cui la Protezione Civile fornisce quotidianamente il bollettino con gli aggiornamenti in merito ai numeri del contagio da coronavirus in Italia, una collega (non siamo riusciti a cogliere di quale testata) ha posto una domanda riguardante la privacy: viene prima la tutela dei dati personali o quella della salute pubblica?
Privacy e salute pubblica nell’emergenza coronavirus
Un quesito legittimo, utile a comprendere se la gravità del momento che stiamo vivendo sia tale da far venir meno alcune delle misure solitamente poste a difesa della sfera privata di ognuno di noi.
Fino a che punto la privacy può convivere con queste misure di sicurezza nel nome della sanità pubblica? Qual è il limite?
Di seguito la risposta di Angelo Borrelli, Capo del Dipartimento di Protezione Civile (al minuto 48:40 del filmato).
Il limite ce lo siamo posti, l’abbiamo analizzato in accordo con il Garante della Privacy. Già nella prima ordinanza di Protezione Civile, la 630, è prevista la possibilità di trattare i dati anche personali per gestire il contrasto alla diffusione del virus. Quindi, tra l’interesse della salute collettiva e l’interesse della privacy io credo che abbiamo trovato un ottimo bilanciamento e a prevalere dev’essere l’interesse per la salute pubblica. Altrimenti nemmeno la nostra privacy può essere preservata.
Il documento citato da Borrelli è quello risalente al 3 febbraio, pubblicato settimane prima che fosse registrato il primo caso di contagio in Italia. All’articolo 5, relativo a “Trattamento dati personali” leggiamo:
- Nell’ambito dell’attuazione delle attività di Protezione Civile connesse allo svolgimento delle attività di cui alla presente ordinanza, allo scopo di assicurare la più efficace gestione dei flussi e dell’interscambio di dati personali, i soggetti operanti nel Servizio Nazionale di Protezione Civile … possono realizzare trattamenti, ivi compresa la comunicazione tra loro, dei dati personali … necessari per l’espletamento della funzione di Protezione Civile.
- La comunicazione dei dati personali a soggetti pubblici e privati … nonché la diffusione dei dati personali … è effettuata, nei casi in cui essa risulti indispensabile, ai fini dello svolgimento delle attività di cui alla presente ordinanza.
- Il trattamento dei dati … è effettuato nel rispetto dei principi di cui all’articolo 5 del citato Regolamento n. 2016/679/UE, adottando misure appropriate a tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.
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In relazione al contesto emergenziale in atto, nonché avuto riguardo all’esigenza di contemperare la funzione di soccorso con quella afferente alla salvaguardia della riservatezza degli interessati, i soggetti … conferiscono le autorizzazioni … del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, con modalità semplificate, ed anche oralmente.
La posizione del Garante Privacy
Maggiori chiarimenti in merito arrivano anche dal Garante Privacy. Questo un estratto dall’intervista ad Antonello Soro pubblicata nei giorni scorsi sul sito ufficiale dell’autorità.
Già il 2 febbraio, ovvero due giorni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza da COVID-19, abbiamo espresso un parere favorevole, sulle misure previste dal Governo, ampiamente derogatorie, come inevitabile, delle regole generali. Successivamente abbiamo mantenuto un’interlocuzione costante con la Protezione civile, nello spirito della più larga e doverosa collaborazione.
Alla domanda “Ha un senso parlare di tutela della privacy in un momento in cui è predominante l’interesse generale a combattere la pandemia?” il Garante risponde in modo deciso.
Non solo ha senso, ma è essenziale per consentire di orientare l’azione di prevenzione nel modo più equilibrato e compatibile con i principi democratici. La sfida posta da questa emergenza di tipo sanitario è coniugare efficacia dell’azione di prevenzione e contrasto del contagio, con le garanzie essenziali di tutela dei diritti fondamentali, quali appunto la privacy, che sono soggetti a bilanciamento con altri beni giuridici quali, in primo luogo, la salute pubblica.
L’obiettivo è dunque quello di trovare il giusto equilibrio, senza sacrificare né compromettere alcuno dei diritti, ma stabilendo delle priorità dettate dall’urgenza delle misure da attuare.
L’Italia di oggi come la Cina di ieri?
All’orizzonte, almeno per ora, non sembra esserci l’intenzione di impiegare misure invasive per il monitoraggio e il tracciamento della popolazione. Ne abbiamo scritto ormai oltre un mese fa in merito all’applicazione Close Contact Detector messa a punto proprio con la finalità di contrastare la diffusione del coronavirus dalle autorità in Cina. Allora in molti sollevarono quesiti in merito a possibili violazioni della sfera privata.
Un altro contesto, un altro tempo. Sono trascorse solo poche settimane e in quel momento non avremmo immaginato di trovarci oggi nella medesima situazione, a dover trovare il corretto bilanciamento tra la volontà di tutelare la privacy e l’esigenza di uscire da una crisi sanitaria.