Da sempre la crisi impone cambiamenti, stimola lo spirito di adattamento, talvolta crea opportunità. Non fa eccezione quella sanitaria che nei mesi scorsi ha colpito duramente anche il nostro paese e la nostra economia: ci siamo visti costretti a imparare un nuovo modo di vivere, di interagire con gli altri, di lavorare. Abbiamo messo entrambi i piedi nell’era dello smart working, anche se spesso lo si confonde col telelavoro. Qualcuno ne sta guadagnando, altri hanno imboccato una dolorosa via crucis, di certo nessuno di noi ne è immune. Le ripercussioni si avvertono nel quotidiano, sui nostri ritmi così come sulla nostra gestione del tempo, persino sul nostro abbigliamento.
Lavoro da casa, e-commerce e abbigliamento
Uno spunto di riflessione è quello che arriva dalle parole di Stefano Beraldo, Amministratore Delegato di OVS, intervenuto ieri ai microfoni di Radio 24 per parlare di come lockdown e improvvisa trasformazione delle dinamiche professionali abbiano avuto impatto sul business del gruppo. Dai risultati finanziari emerge un primo semestre chiuso con il -42% rispetto allo stesso periodo del 2019 e qualche segnale di ripresa nel secondo trimestre.
Il suo intervento è di interesse per due motivi. Costituisce l’ennesima conferma di come l’e-commerce sia esploso in seguito all’imposizione delle misure restrittive e di come la progressiva riapertura dei negozi abbia più di recente innescato un calo fisiologico delle vendite online.
La dimensione dell’online in Italia è importante, ma marginale. Parliamo di un mercato stimato in 2 miliardi su un totale che supera i 20 miliardi. Incide il 10%. Anche se è più che raddoppiato durante i giorni del lockdown. Noi stessi abbiamo avuto tassi di crescita del 300-400% e abbiamo chiuso il trimestre con un +86%. La dimensione assoluta del mercato non è però sufficiente innescare un ribilanciamento di cui invece può aver beneficiato chi era già più presente nell’online.
Dopo il lockdown i dati mi dicono che l’online, in seguito all’esplosione, si è ridimensionato e in questo momento sta crescendo a tassi tra il 15% e il 20%. Si è rinormalizzato.
Il coronavirus e la tuta
Ancora, la società così come gli altri brand dell’abbigliamento si è vista costretta a ripensare la propria strategia tenendo in considerazione la picchiata delle vendite per i capi più formali a favore di quelli casual: non si va in ufficio e da casa niente giacca e cravatta. Sintomo del cambiamento di usi e abitudini in atto. E intanto c’è già chi smaterializza il biglietto da visita nel momento in cui anche la stretta di mano è proibita. Prosegue Beraldo.
Alcune cose stanno diventando strutturali. Ad esempio, nel mercato dell’abbigliamento maschile si registra il crollo dei capi formali … Questo comporterà uno spostamento del settore verso il casual che predilige la portabilità quotidiana … Ci vestiamo in modo un po’ più decontratto.
E pensare che solo qualche anno fa una realtà come Yahoo, che al suo apice ha comunque contribuito a definire l’attuale panorama online, affermava in modo poi rivelatosi davvero poco lungimirante di non credere nel telelavoro. Confondendolo con lo smart working, appunto. Le conseguenze appartengono alla storia.
È forse ancora presto per stabilire se il coronavirus abbia dato o meno un taglio netto e definitivo alla cravatta, ma di certo sta più comodo in tuta.