Coronavirus: la zona rossa dei social e le penne lisce

Il coronavirus ai tempi dei social (o viceversa?)

Dalla paura all'ironia, andata e ritorno: il coronavirus, le dinamiche innescate sui social e l'influenza delle piattaforme sul sentimento comune.
Il coronavirus ai tempi dei social (o viceversa?)
Dalla paura all'ironia, andata e ritorno: il coronavirus, le dinamiche innescate sui social e l'influenza delle piattaforme sul sentimento comune.

Il coronavirus non è un esperimento sociologico, come qualche zucca vuota vorrebbe in questi giorni far credere ad altre zucche vuote o svuotate per l’occasione. Quanto sta accadendo potrà però costituire uno spunto senza dubbio interessante per uno studio sociologico, utile a capire in che modo l’intersezione tra i canali dell’informazione ufficiale, le distorsioni operate dalla stampa e gli strumenti di comunicazione nelle mani di tutti noi stiano generando una strana e a tratti poco comprensibile dinamica.

Il coronavirus ai tempi dei social…

Chi scrive questo articolo lo fa dal cuore della cosiddetta zona gialla e a pochi chilometri da quella zona rossa che ormai da alcuni giorni qualcuno sta dipingendo come la Silent Hill nostrana. Punto d’osservazione privilegiato per apprezzare l’oscillazione del sentimento comune, attraverso l’oblò di quanto pubblicano le testate locali e quanto condividono i concittadini sulle bacheche dei social network, ma ancor di più sulla base di quanto confida chi nella nostra sfera privata e affettiva l’allarme l’ha vissuto o lo sta vivendo direttamente. Si è passati in un lasso di tempo estremamente ridotto da picchi di legittimo timore a un quasi improvviso rilascio della tensione accumulata.

Stiamo di nuovo perdendo l’occasione per riflettere in modo razionale su un problema che è venuto a manifestarsi, non ammettendo ognuno i propri limiti e cedendo alle lusinghe di una polarizzazione delle opinioni, neanche sul tavolo della discussione ci fosse l’ennesimo tema di natura politica o il campionato di calcio: chi “ci ucciderà tutti” e chi invece “è poco più di un raffreddore”.

… i social ai tempi del coronavirus

Il termometro delle esternazioni social ci racconta che dopo il comprensibile stordimento del fine settimana, la corsa in alcuni casi folle alle provviste (con conseguenze purtroppo inevitabili) e l’ansia per un nemico invisibile e silenzioso portato dal vicino di casa e non più dal diverso, sta maturando la coscienza che forse no, non moriremo tutti per COVID-19. I post in stile “è colpa di ***” e le chiamate alle armi per una malcelata caccia all’untore hanno poco alla volta ceduto il posto a battute e meme sul perché nessuno compri le penne lisce nemmeno alla vigilia dell’apocalisse.

https://www.facebook.com/Iddio42/photos/a.402108243209267/2805517052868362/

E qualche marchio, in modo altrettanto legittimo, ne ha già intravisto un’opportunità.

https://www.facebook.com/PastaDeCecco/photos/a.176299692387686/3864162083601410/

Tutto lecito, anche esorcizzare la paura. Ben venga se ci aiuta farlo su Facebook, Twitter o in forma semi-privata nelle chat di gruppo su WhatsApp. Augurandoci che il partito del “è poco più di un raffreddore” possa infine dimostrarsi lungimirante, rimaniamo convinti che un giorno non troppo lontano potremo riguardare alla cronologia delle nostre pubblicazioni social di questi giorni e meglio comprendere cosa siamo diventati.

Suggeriamo infine un titolo per quel possibile studio sociologico citato in apertura: “Il coronavirus ai tempi dei social”. O forse sarebbe meglio “I social ai tempi del coronavirus”? Dipende dall’agente patogeno oggetto dell’osservazione.

 

Sì, lo sappiamo che quelle in apertura sono penne rigate. Ci perdonerete, non ce la siamo sentita.

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Pubblicato il
25 feb 2020
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