Con un paio di settimane circa di ritardo rispetto a quanto avvenuto nel nostro paese, anche gli Stati Uniti si trovano ora a dover fronteggiare l’emergenza coronavirus. Lo stanno facendo tra le altre cose ricorrendo alla tecnologia: non solo chiamando a sé i big della Silicon Valley, ma raccogliendo informazioni utili a garantire il distanziamento sociale previsto dal lockdown.
USA: il Governo monitora gli spostamenti
Centers for Disease Control and Prevention e alcune autorità locali hanno iniziato a immagazzinare ed elaborare dati a proposito della posizione dei cittadini, provenienti dai loro smartphone. Una misura già attuata in verità anche in Europa e in Italia, ma con una differenza sostanziale: anziché riceverli dagli operatori mobile, vengono trasmessi dai player dell’industria dell’advertising. Per dirla in altro modo, da chi solitamente li impiega per mostrare sui nostri schermi le inserzioni pubblicitarie personalizzate.
A svelarlo un report comparso sulle pagine del Wall Street Journal. Non tutto il territorio USA sarebbe attualmente interessato dell’iniziativa, ma solo le aree ritenute a maggior rischio (immaginiamo quelle più densamente popolate): circa 500 città al momento coinvolte.
È bene precisare che si tratta di informazioni anonime, dunque non riconducibili ai singoli individui. Servono, ad esempio, per allertare le forze di polizia ed eseguire rapidamente un controllo se si verifica un assembramento di persone in un parco pubblico.
Anche negli Stati Uniti ci si trova dunque a dover fare i conti con una questione già dibattuta in casa nostra: in casi come questo, nell’ambito di un’emergenza sanitaria come quella innescata dal coronavirus, è legittimo ricorrere a metodi che solitamente farebbero storcere il naso poiché lesivi della privacy? In questo caso, stando a quanto emerso, è bene tenere a mente che i dati di cui si parla sono quelli solitamente impiegati per l’advertising.