Abbiamo ormai familiarizzato con la variante inglese, quella brasiliana, indiana e vietnamita del coronavirus responsabile di COVID-19: persino il sito del Ministero della Salute le indica associando all’agente patogeno il nome del paese da cui proviene o in cui è stata isolata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha però un’altra idea.
Così identificheremo le varianti del coronavirus
Nei giorni scorsi l’OMS ha annunciato che il sistema impiegato per assegnare un nome alle varianti cambierà, facendo leva sulle lettere dell’alfabeto greco. Due gli obiettivi: rendere più semplice per gli addetti ai lavori riferirsi a una mutazione specifica (oggi sono identificate come “B.1.1.7”, “B.1.617.2” ecc.) ed evitare di stigmatizzare un intero territorio. Ecco dunque che quella inglese diventa Alpha, mentre quella indiana Delta.
Le etichette non rimpiazzano i nomi scientifici esistenti, che veicolano importanti informazioni e continueranno a essere utilizzati nella ricerca. Il nuovo sistema vuol evitare che le varianti siano chiamate come i luoghi in cui vengono individuate, il che rappresenta una stigmatizzazione e una discriminazione.
The labels do not replace existing scientific names, which convey important scientific information & will continue to be used in research. The naming system aims to prevent calling #COVID19 variants by the places where they are detected, which is stigmatizing & discriminatory. pic.twitter.com/MwWGGMXPjn
— World Health Organization (WHO) (@WHO) May 31, 2021
Mai come in questo periodo martoriato dalla piaga dell’infodemia, le parole sono importanti. A chi sostiene il contrario, ricordiamo che all’inizio della pandemia l’uomo più potente al mondo ha a più riprese definito il coronavirus come “il virus cinese”, contribuendo a sollevare un’ondata di diffidenza nei confronti dell’intera popolazione asiatica, tanto che negli Stati Uniti si è reso necessario intervenire a livello legislativo.