Un correntista di Poste Italiane, età 73 anni residente in provincia di Firenze, ha ricevuto un messaggio riportante il logo della società e la richiesta dei codici per l’accesso alla propria area riservata. Poi un secondo contatto, questa volta telefonico, sempre da parte dei malintenzionati. Per i più smaliziati, è identificabile a prima vista come la più classica delle dinamiche attraverso le quali si attuano le campagne di phishing (oppure di smishing o vishing). Purtroppo, ancora molti ci cascano. L’esito è stato infausto: una truffa da 18.039 euro in buoni fruttiferi, attraverso l’esecuzione di nove operazioni in pochi minuti.
Poste Italiane responsabile per la truffa al correntista
Fin qui, potrebbe essere normale cronaca, se non fosse per quanto accaduto poi. La vittima del raggiro, assistito dal suo avvocato, ha presentato ricorso presso il tribunale del capoluogo toscano, chiamando in causa proprio Poste Italiane. La sentenza di primo grado gli ha dato ragione, ritenendo l’azienda responsabile dell’accaduto. Il motivo? Non avrebbe adottato tutte le misure possibili per difendere il cliente in modo appropriato.
Come riportato da Repubblica, la giudice ha stabilito che La responsabilità di Poste italiane avrebbe potuto essere esclusa solo nel caso in cui l’azienda avesse dimostrato di aver adottato tutti i meccanismi necessari alla tutela del cliente
. Un requisito che non è stato soddisfatto, portando a deliberare per il risarcimento totale della somma rubata.
Durante la telefonata, alla vittima è stato chiesto di inserire la tessera in un lettore Postamat, spingendolo a comunicare il proprio codice segreto per l’accesso al conto, facendo leva sull’urgenza (non reale) di resettarlo, per motivi legati alla sicurezza. L’uomo ha scoperto di essere stato raggirato solo il giorno seguente, dopo essersi recato allo sportello.
Stando alla sentenza, il sistema di Poste Italiane ha dunque mostrato il fianco alla truffa. Ha presentato una vulnerabilità e non prevedendo obbligatoriamente l’impiego di tutele aggiuntive come una doppia verifica, ad esempio ricorrendo all’utilizzo di un codice OTP.