Washington (USA) – Il principio secondo cui è punibile la persona che dispone o che realizza immagini digitali con il computer che riproducono minori in atti sessuali è stato rigettato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
La massima corte americana ha infatti fatto valere il Primo Emendamento alla Costituzione, quello che protegge la libertà di espressione, per dichiarare incostituzionale la legge che associava questo genere di attività a quella compiuta da chi crea o possiede immagini pedopornografiche realizzate mediante effettivi abusi su minori.
La sentenza, decisa con un voto di netta maggioranza dai giudici (6 a 3) segna un ostacolo di enorme rilievo per l’azione di repressione della pedopornografia così com’è finora stata impostata dai procuratori federali del ministero della Giustizia. E segna anche con chiarezza i limiti della colpevolezza secondo la Costituzione americana.
La legge oggi incostituzionale era stata varata nel 1996, nel corso dell’amministrazione Clinton, e rendeva ugualmente punibile la distribuzione o il possesso di immagini fasulle o reali. La vendita delle immagini create artificialmente, secondo tale norma può essere oggetto di una condanna fino a 15 anni di prigione, pena ridotta a 5 in caso di solo possesso delle stesse.
Secondo la Corte i divieti imposti dalla legge sono troppo ampi e dunque incostituzionali, sebbene il dato principale nella decisione sia assunto dalla considerazione che la produzione di pedopornografia fasulla non sia in sé direttamente collegata all’abuso su minori, la cui repressione è invece il fine ultimo della legge stessa.
Va detto che non è la prima volta che quella che viene considerata una battaglia di grande rilievo nella guerra contro la pedofilia violenta, cioè il “fronte online”, si scontra con l’estrema difficoltà del trovare un equilibrio possibile tra questi scopi e le libertà individuali, i cui confini sono spesso così sottili da essere soffocati da normative dalla formulazione troppo estensiva.
Dopo la decisione della Corte si attende ancora la reazione del ministero della Giustizia, uno dei soggetti che ha a suo tempo difeso con maggiore caparbietà la lettera della normativa bocciata a Washington.
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Update ore 9.30 : Il procuratore generale Ashcroft ha risposto alla decisione della Corte Suprema.