L’avvento del Coronavirus equivale sotto molti punti di vista a un grande tsunami economico destinato a lasciare dietro di sé importanti macerie. Questo è noto, benché in questo momento la piena occupi l’intero panorama e ancora non sia chiaro cosa, al termine della risacca, rimanga in piedi. Secondo quanto riferito dal New York Times sulla base di una serie di fonti USA, è già chiaro come tra le prime vittime dell’ondata anomala vi siano le startup – e non poteva essere altrimenti.
Il mondo startup vive su delicati equilibri nei quali la scommessa è sul rischio e le potenzialità son quelle dell’unicorno. Le startup bruciano liquidità a ritmo altissimo, vivendo delle scommesse dei finanziatori e galleggiando grazie alle prospettive di crescita. Quel che è successo è – giocoforza – qualcosa di estremamente simile ad uno tsunami: meno liquidità, mercato fermo, prospettive annullate, zero riserve, nessuna preparazione strutturale a poter resistere.
Parola d’ordine: resistere
Le startup non sono strutture pensate per resistere, ma per correre. Eppure, di fronte all’improvviso avvento del cigno nero, non hanno avuto la prontezza di resistere poiché appesantite da obiettivi prefissati. L’elenco del NY Times è un bollettino di guerra fatta di profitti andati in fumo e licenziamenti seriali. Mera fatalità? Non veder colpe in tutto ciò sarebbe miope. Sequoia Capital, nome imponente nell’orizzonte della Silicon Valley, solo il 5 marzo alzava l’allarme sulla Covid-19 considerandola il vero grande rischio del 2020. Il 5 marzo, però, i segnali erano già pesantissimi in tutto il mondo orientale ed europeo: un ritardo estremo, un ritardo colpevole, un ritardo letale.
Non è chiaro se gli USA non abbiano visto o se non abbiano voluto vedere: a dimostrazione di ciò vi sono le parole di Donald Trump (i cui echi si son sentiti nella bocca di Boris Johnson e di Bolsonaro, tra gli altri), ma anche quelle di imprenditori seriali quali Elon Musk e Jason Calacanis, tutti ingenuamente persuasi dal “è solo un’influenza”. Mai previsione fu meno azzeccata, e sbagliare una previsione fondamentale nel mondo delle startup è chiaramente punitivo.
Una storia su tutte, ad esemplificazione di quel che sta accadendo, proveniente dal mondo della smart mobility. Bird, servizio per il noleggio di scooter elettrici sui quali era stata costruita la promessa di frenetica mobilità delle città moderne, ha licenziato centinaia di dipendenti nel giro di pochi minuti. La modalità, soprattutto, lascia perplessi: sono stati tutti invitati ad una video conference, durante la quale i termini dell’addio sono stati enunciati e nel corso della quale i loro account sono stati disattivati. In mano si son ritrovati 1 mese di stipendio, 3 mesi di assistenza medica (forse l’asset di maggior valore in questo momento) e un anno per valutare se esercitare le proprie stock option.
Usermind, Knotel, Convene, ZipRecruiter, OneWeb, Vacasa, Sonder, Inspirato, Zeus Living, TripActions: questi sono solo alcuni dei nomi in difficoltà estrema spulciati dalle cronache USA sul tema. Per tutti il nuovo mantra è “sopravvivere”: profondo taglio dei costi, estrema riduzione delle attività, reimpostazione del baricentro su nuovi principi. Restare in piedi è il nuovo, grande, difficile obiettivo per iniziative imprenditoriali nate con tutt’altra prospettiva: chi è nato per volare, difficilmente è fatto per avere piedi ben saldi in terra.
Sia chiaro, tutto quel che non è startup vive medesime difficoltà, ma basando il proprio equilibrio su paradigmi più consolidati: resistere sulle certezze (benché rese fragili dalla situazione di stallo) non è facile, ma resistere sulle promesse delle potenzialità è un altro paio di maniche.
La situazione italiana?
Una fotografia aggiornata della situazione al momento non c’è, ma nel mese di febbraio sono usciti alcuni dati relativi all’ultimo trimestre del 2019 (di fatto l’ultimo integro prima del Coronavirus). Il MISE comunicava in quel frangente che “nel 4° trimestre del 2019 le startup hanno ricevuto nuovi prestiti bancari per circa 66,7 milioni di euro. Il valore è superiore a quello registrato nel terzo trimestre 2019: tra giugno e settembre 2019 erano stati concessi nuovi prestiti per €52.063.252. L’ammontare complessivo rilevato al 31 dicembre 2019 è pari a 1.129.911.936 euro“: di questi il 17,5% erano estinti, il 57,8% in regolare ammortamento e il 4,8% già in sofferenza. Il tutto, peraltro, concentrato pesantemente in quella Lombardia poi attanagliata dalla Covid-19.
Al termine del 4° trimestre 20191, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese ai sensi del decreto legge 179/2012 è pari a 10.882, in aumento di 272 unità (+2,6%) rispetto al trimestre precedente. […] In alcuni settori economici l’incidenza delle startup innovative sul totale delle nuove società di capitali appare rilevante. È una startup innovativa l’8,3% di tutte le nuove società che operano nel comparto dei servizi alle imprese; per il manifatturiero, la percentuale corrispondente è 5,1%. In alcuni settori, come definiti dalla classificazione Ateco 2007, la presenza di imprese innovative è particolarmente elevata: è una startup innovativa il 35,8% delle nuove aziende con codice C 26 (fabbricazione di computer), il 37,9% di quelle con codice J 62 (produzione di software) e addirittura oltre il 68,5% di quelle con codice M 72 (ricerca e sviluppo).
Sotto il profilo occupazionale, a fine settembre 20192 risultano presenti 4.372 startup innovative con almeno un dipendente3 (160 in più rispetto a fine giugno), pari al 41,2% del totale. Le startup innovative impiegavano a fine settembre dello scorso anno 13.803 persone, 781 in meno rispetto al secondo trimestre 2019. Il numero medio degli addetti per startup innovativa, sempre al terzo trimestre 2019, è pari a 3,2, contro i 3,5 registrati tre mesi prima. Le altre società di capitali con meno di cinque anni presentano tuttavia una media significativamente più elevata, pari a 5,8 addetti a impresa.
Le prospettive italiane non possono dunque essere più di tanto rosee: il mondo startup nostrano, già fragile di per sé, potrebbe subirne un contraccolpo feroce, necessitando pertanto di aiuti dedicati al termine dell’emergenza laddove più solide si sono dimostrate le basi e laddove più scaltra è stata la gestione dell’emergenza.
Le sofferenze sono destinate ad aumentare considerevolmente, ma l’esiguità del mercato startup italiano determina un danno collaterale di minor peso rispetto ad altre nazioni, ove questo settore è stato finanziato con maggior insistenza negli ultimi anni (si pensi ad esempio alla Francia). Più sarà lungo il periodo di contenimento, minori saranno le possibilità di farcela. Più lontana sarà la mission aziendale dalle priorità della ricostruzione, minori saranno le risorse a cui attingere. Più fragile sarà la visione degli investitori al termine di questo shock economico e sociale storico, minore sarà la strada che si potrà fare alla riapertura dei mercati.
Tra pochi mesi sarà possibile tirare una riga e iniziare un nuovo capitolo, facendo la conta di chi ha resistito, chi si è adattato, chi ha colto le opportunità e chi ha ceduto il passo.