Gli strascichi dell’attacco subito da Sony Pictures alla fine del 2014, attribuito a non meglio precisati aggressori nordcoreani per le rivendicazioni legate alla commedia The Interview e oggetto di dubbi presso gli esperti di sicurezza, affliggono tuttora il colosso di Hollywood, con il peso delle rivelazioni affiorate dalla breccia. L’azienda, però, sembra poter tirare un sospiro di sollievo sul fronte aperto dai propri dipendenti, uniti in una class action per rivendicare i danni per la propria privacy violata.
Le azioni legali intentate dal personale di Sony Pictures, alla quali si sono aggiunte quelle avviate da alcuni ex-dipendenti che figuravano nel database delle informazioni di cui i cracker si sono appropriati, attendono ancora di riunirsi in una sola class action: alcuni degli attori, però, hanno depositato in tribunale i documenti in cui si richiede di rimandare il prossimo confronto con la giustizia, in vista di un accordo preliminare che sarebbe stato negoziato fra le parti.
Sony Pictures, nei mesi scorsi, ha combattuto duramente per ridimensionare di fronte al tribunale l’impatto sui circa 50mila dipendenti dell’attacco subito: nonostante a ridosso della breccia si fosse mossa minacciando denunce per contenere la fuga delle informazioni in Rete, in questi mesi ha tentato di convincere i giudici che le rivendicazioni degli impiegati fossero ingiustificate, che i danni lamentati non fossero supportati da prove sufficienti, che non fosse possibile dimostrare che l’eventuale circolazione di dati personali in Rete fosse da attribuire proprio alla negligenza dell’azienda.
Per ora non è dato conoscere i termini dell’accordo informale siglato tra Sony Pictures e i suoi dipendenti: è probabile però che finirà per influenzare l’andamento dei procedimenti che rimarranno aperti.
Gaia Bottà