“Questi diavoli di Hackers”. Si intitola così la sezione delle pagine web del GAT, Nucleo speciale contro le frodi telematiche della Guardia di Finanza, dedicata ad una delle più singolari vicende in materia di cracking che hanno riguardato la rete italiana. Due giorni fa è infatti stata pronunciata la sentenza che condanna i membri dell’italianissima crew “Hi-Tech Hate”, un gruppo di defacer e cracker che nel 2001 aveva messo a segno numerose incursioni elettroniche anche su server di primo piano, tutte le volte con un preciso “scopo politico”. I membri della crew sono stati individuati, fermati e denunciati nel gennaio del 2002 .
Lavorando su quei server, i defacer nel corso di alcune settimane avevano rimpiazzato le home page e pagine di servizi di siti che vanno dalla NASA alla FAO, dal Ministero della Salute al CNR, dall’ENEA a numerosi enti locali, fino a RAI, Mediaset, Ansa ed altri ancora. Tra le “vittime” anche il sito di Claudio Baglioni, un celebre cantautore italiano.
Quattro di loro sono stati processati e hanno patteggiato la pena di un anno e cinque mesi di reclusione , che non sconteranno però in carcere avendo ottenuto la sospensione condizionale della pena. Erano accusati di “associazione per delinquere” e “intrusione informatica eseguita in concorso”.
Perché qualcuno ora li chiama hacker? Perché alcuni di loro, smanettoni di primo pelo all’epoca dei fatti, sono oggi esperti informatici e bazzicano con un certo successo gli ambienti della sicurezza informatica. Tanto che uno dei condannati, ha oggi 24 anni, lavora in una multinazionale e ha presieduto la conferenza stampa in cui i cybercops nostrani hanno fatto il punto sulla vicenda. Fatto ancora più curioso se si va a rileggere i messaggi lasciati dalla crew sui siti colpiti, cose come: “Non vogliamo vivere nella disinformazione o nell’ignoranza. Non vogliamo che il mondo sia guidato dalle multinazionali, non vogliamo un mondo così. Noi siamo contro ogni forma di guerra, di oppressione, di abuso di potere”.
“Le incursioni telematiche di questi pirati informatici – ha spiegato il comandante del GAT, colonnello Umberto Rapetto – aveva carattere prevalentemente dimostrativo”. Rapetto parla di giovanissimi (il più piccolo aveva 15 anni all’epoca) a caccia di “sfide”, che hanno però provocato conseguenze “più gravi di quanto avessero preventivato”.
Un ruolo nella presentazione del caso ce l’ha proprio Baglioni: oltre ad essere stato “colpito”, ha anche prodotto un breve video in cui “paragona” in qualche modo la sua bravura al pianoforte con la maestrìa informatica dei cybercops italiani. La sua video-testimonianza è disponibile a questo indirizzo .