San Francisco – Come previsto sono state formalmente annunciate le nuove licenze Creative Commons , che giungono così alla versione 3.0, un aggiornamento che porta con sé alcune novità sostanziali e che conferma, dopo un lungo dibattito in seno alla comunità CC, l’incompatibilità delle licenze con il DRM .
Simbolo stesso del copyleft, del nuovo concetto di diritto d’autore che trova in rete le sue applicazioni più interessanti e che adegua il controverso concetto di “proprietà intellettuale” alle nuove esigenze dell’era dell’informazione, le CC 3.0 si propongono come uno strumento se possibile ancora più internazionale .
Tra le novità più significative delle 3.0, infatti, c’è la suddivisione delle licenze generiche di base: da un lato quelle americane, già operative, dall’altro quelle “generiche”, ora definite unported , in quanto non ancora “localizzate” sulla base degli ordinamenti dei diversi paesi. Una novità che dovrebbe consentire un più facile porting dell’infrastruttura delle nuove licenze negli altri ordinamenti . Se sono nate negli USA, infatti, le CC fino ad oggi sono ormai state implementate in una 30ina di diversi paesi, tra cui l’Italia, con un complicato procedimento di ricezione nei singoli ordinamenti che ora si ripeterà ma che dovrebbe risultare meno ostico alle folte comunità CC locali.
“Il nuovo set di licenze – spiegano i promotori di CreativeCommons.org – si basa sui principi della Convenzione di Berna per la protezione delle opere Letterarie ed Artistiche, sulla Convenzione di Roma del 1961, sul trattato sul copyright dell’Organizzazione mondiale del commercio del 1996, sul trattato sulle Rappresentazioni e i Fonogrammi dell’Organizzazione sempre del 1996 e sulla Convenzione universale sul Copyright”. Ma sono loro stessi ad avvertire che, poiché le singole convenzioni internazionali vengono recepite con differenze dai diversi paesi che le adottano, l’utilizzo dei principi generali che queste prevedono “non è in sé sufficiente” a garantire la disponibilità delle CC nei diversi paesi. Per questo una clausola delle CC 3.0 prevede che la licenza sia efficace nei limiti previsti dalle implementazioni di questi trattati dalle diverse leggi nazionali.
Un altro aspetto decisivo per la diffusione delle CC, contenuto nella nuova stesura, è la maggiore attenzione che queste devono prestare alle questioni legate ai diritti morali e alle società di raccolta dei diritti (in Italia la SIAE). Un aspetto definito, appunto, “moral rights harmonization”, spiegato nel dettaglio (in inglese) a questo indirizzo .
C’è poi maggiore chiarezza sul rapporto tra autore e utilizzatore dell’opera : si è infatti lavorato per impedire che vi possa essere un’errata attribuzione o una implicita relazione o associazione tra le due parti (chi realizza l’opera e chi, nei limiti delle CC, decide di farne uso). “Abbiamo deciso – spiegano gli sviluppatori delle CC – di rendere questo rapporto esplicito sia nel Legal Code che nel Commons Deed, per garantire che, mano a mano che le licenze continuano a crescere e ad attrarre un gran numero di autori e aziende, non ci sia confusione sulla materia”.
Più chiara anche la questione del riutilizzo e manipolazione dell’opera : l’adozione di una “Creative Commons Compatible License” sulle opere emerse da una manipolazione (prevista da una specifica licenza CC) consentirà più facilmente di sottoporre anche queste ultime a CC nello spirito della “flessibilità” da sempre coltivata dalle Creative Commons.
Sul fronte DRM , come accennato, “nell’ambito delle discussioni con Debian era stato proposto di consentire il rilascio di certe opere con DRM in CC in determinate condizioni, un’ipotesi nota come parallel distribution language , ma questo concetto non è stato incluso nella versione 3.0 delle licenze CC”.
Per l’Italia, dove al momento è possibile utilizzare le CC versione 2.5, il sito di riferimento è CreativeCommons.it .