Creatività: negli ultimi anni il copyright ha smesso di essere un argomento per avvocati ed è diventato un tema di grande importanza per chiunque sia coinvolto nella produzione e fruizione di cultura. E nei prossimi anni avrà un ruolo fondamentale rispetto al modo stesso in cui penseremo la creatività: sia in termini di proprietà che di collaborazione. Nonostante il mash-up, il cut-up, il plagiarismo, il remix, siano elementi centrali dell’innovazione digitale, governi ed imprese non trovano di meglio che perseguire tali pratiche. Eppure, come spiega Matt Mason nel suo libro, tradotto in italiano con “Punk Capitalism, come e perché la pirateria crea innovazione” (Feltrinelli), dovrebbero sapere che da sistemi chiusi non germogliano né nuove idee né nuovi prodotti.
Cooperazione: cooperare è meglio che competere. Spesso si coopera per “competere meglio”, altre volte perché viene naturale farlo. La cooperazione è un comportamento altamente razionale nei contesti caratterizzati da un’elevata abbondanza di risorse e da una elevata competizione. Come nel cyberspazio. Si coopera per imparare dagli altri, per realizzare qualcosa di nuovo e utile, per distribuire un prodotto, creare nuovi mercati. In ogni caso il risultato è un nuovo legame sociale che si consolida nella triade “dare, ricevere, restituire”. L’hanno dimostrato i movimenti protagonisti della gift economy . Non ci si arricchisce ma si rispettano il pianeta, le persone ed i loro diritti, ed è il caso del software open source, dell’Open Directory Project e di Wikipedia.
Condivisione: se una persona “possiede” qualcosa può scegliere di tenerla per sé o di cederla anche agli altri. Se si tratta di un oggetto, resterà senza. Ma se una persona “sa” qualcosa e la insegna, la sua conoscenza si moltiplicherà e diffonderà facendo tutti più ricchi. La conoscenza è un bene non rivale. Questo è uno dei motivi per cui Elinore Ostrom ha vinto il nobel per l’economia dissertando sulla “Conoscenza come bene comune”, titolo con cui la Bruno Mondadori ha pubblicato il suo libro in Italia. I commons della conoscenza, beni comuni informazionali, infatti, a dispetto dei beni materiali, non deperiscono con l’uso ma si valorizzano attraverso la libera circolazione e se trovano la loro strada verso il pubblico, rendono l’ecosistema informazionale più vasto e ricco come ha ben spiegato Yochai Benkler , l’ispiratore delle tesi del commonista Larry Lessig. Un argomento a favore delle dispute su Google News e Google Books.
Ancora oggi i modi prevalenti di produzione e diffusione della cultura (i media, le università, i laboratori, le agenzie pubbliche, le biblioteche) ci ricordano che ogni forma di avanzamento, economico, sociale e culturale si dà soltanto attraverso la creatività, la cooperazione e la condivisione, il libero scambio di informazioni, la costruzione di significati condivisi. Potenti agenti di cambiamento. Per questo il network di Frontiere Digitali , trenta associazioni dedicate ai temi delle libertà digitali, ne discute a Roma , il 20 dicembre, alla Città dell’Altraeconomia, con l’ambizione di mostrare perché una “cultura digitale” si definisce dalle pratiche concrete e dai vincoli di fiducia, reciprocità e appartenenza che la caratterizzano, quindi dalla coscienza che ha di se stessa, non dall’uso, moderato o nevrotico che sia, di questa o quella tecnologia di comunicazione.
Arturo Di Corinto
ArDiCor, il blog