Crescono i contenuti digitali italiani

Crescono i contenuti digitali italiani

Ad affermarlo è un rapporto di Assodigitale, secondo cui entro il 2005 il valore complessivo dell'industria di settore toccherà gli 8 miliardi di euro. Ma la legge agevola gli altri media
Ad affermarlo è un rapporto di Assodigitale, secondo cui entro il 2005 il valore complessivo dell'industria di settore toccherà gli 8 miliardi di euro. Ma la legge agevola gli altri media


Roma – Crescono, nonostante le molte difficoltà della congiuntura, il valore e le attività dell’industria dei contenuti su piattaforme digitali, un settore in forte espansione in Italia che potrebbe entro la fine del prossimo anno toccare gli 8 miliardi di euro come valore complessivo.

Ad affermarlo è uno studio presentato da Assodigitale , associazione dei produttori di contenuti, secondo cui il valore del settore supera il 30 per cento del SIC, il Sistema integrato delle Comunicazioni previsto dalla Legge Gasparri, nonostante un quadro fiscale penalizzante rispetto agli altri paesi d’Europa. E la crescita stimata è del 20-25 per cento nei prossimi tre anni.

Stando al rapporto, il valore complessivo dell’indotto riconducibile a questo settore può essere stimato in 25 miliardi. “Ogni euro speso in questo mercato – sostiene Assodigitale – genera un effetto moltiplicativo di circa tre euro, sebbene permangano livelli impositivi che penalizzano sensibilmente la fruizione di contenuti sui mezzi di comunicazione digitali a vantaggio di quelli tradizionali”.

Quando parla di valore del mercato di settore, lo studio L’industria dei media digitali in Italia tiene conto della spesa sostenuta da individui, famiglie, imprese e istituzioni per gli abbonamenti, le carte pre-pagate e il pay-per-view della televisione digitale satellitare e terrestre, i contenuti digitali distribuiti su Internet e sulla telefonia mobile, i servizi di marketing e la pubblicità sui mezzi digitali, il mercato dei CD e DVD e quello dei giochi digitali. Vengono invece esclusi dalla stima le applicazioni e i dati relativi ai processi delle aziende che non risultano destinati alla relazione o alla comunicazione con il pubblico.

Quando invece si riferisce all’indotto, lo studio parla della domanda di contenuti digitali e si riferisce a tutti i fattori connessi alla loro fruizione, con particolare riguardo alla spesa IT (hardware, software e servizi) e TLC (canoni e utilizzo) relativa ai digital content, alla elettronica di consumo (terminali mobili, console, memory stick, fotocamere e videocamere), alle infrastrutture tecnologiche e all’energia elettrica utilizzata per la fruizione di digital content, ai consumabili (CD/DVD scrivibili, cartucce di stampa, carta, batterie), ai servizi accessori (assistenza, formazione, stampa), ai servizi di web design e di content management, e ai sistemi di pagamento utilizzati per l’acquisto dei contenuti digitali.

“Il fatto che la stessa notizia non sia soggetta ad alcuna imposta sul valore aggiunto, se fruita su televisione analogica, mentre è soggetta ad IVA ridotta se pubblicata su carta e paga il 20% di IVA se distribuita via Internet o via telefonia mobile, rappresenta un vero paradosso” ha dichiarato Michele Ficara Manganelli, presidente dell’Associazione. “Per questo – ha continuato – chiediamo al Governo e al Parlamento di riesaminare rapidamente l’aliquota IVA sui contenuti distribuiti su canali digitali: una manovra in tal senso non solo non inciderebbe sul deficit pubblico, ma al contrario produrrebbe positivi effetti di stimolo sulla crescita del prodotto lordo e contribuirebbe alla modernizzazione e allo sviluppo culturale del Paese”.

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Pubblicato il
13 ott 2004
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