Le tensioni geopolitiche che solo ieri sembravano essere rientrate, nelle ultime ore sono state protagoniste di un allarme generale tra gli investitori crittografici. Infatti, se le tensioni in Ucraina non avevano influito in modo determinante sulle criptovalute, ci ha pensato la fuga di questi ultimi. Abbandonando il campo non solo hanno alzato i livelli di rischio, ma hanno dato l’ultima spinta al recente crollo di molti asset. Bitcoin ed Ethereum, primi fra tutti, hanno registrato una discesa importante nella loro quotazione.
Criptovalute: tornano le tensioni tra Russia e Ucraina
In sostanza, una possibile invasione Russa è apparsa molto più probabile nelle ultime ore. Questo sentiment ha portato molti investitori a scappare dalle criptovalute che avevano dimostrato buona salute, almeno fino a quel momento.
Ciò ha portato Bitcoin sotto la soglia sicura, posta dagli analisti tra i 42.000 e i 43.000 dollari. Infatti, attualmente la regina delle criptovalute è scambiata a 40.894 dollari, segnando un -5,94% al momento della scrittura. Attualmente il trend a breve termine si mantiene ribassista, perché i venditori di Bitcoin sono rimasti attivi ai livelli di resistenza.
Ad aver fatto scoppiare la situazione attualmente visibile dall’andamento delle criptovalute in generale è stata una bomba letterale. Nella Regione del Donbass, in Ucraina, un attacco di mortaio russo ha colpito diversi edifici, danneggiandoli.
Criptovalute e azioni tecnologiche
Ancora una volta si evidenzia una stretta correlazione tra criptovalute e azioni fortemente tecnologiche. Infatti, le azioni statunitensi si sono ritrovate in un capitombolo comunitario verso il basso. Il Nasdaq tecnologico è crollato di quasi il 3%, mentre l’S&P 500 è sceso dell’1,7%. Infine, il Dow Jones Industrial Average si è trovato a -2,2%.
Anche la Cina, che cerca di mantenere un rapporto stabile con il Cremlino, è preoccupata per le ripercussioni che potrebbe avere dalle potenziali restrizioni commerciali degli Stati Uniti d’America nei confronti della Russia. Bisogna tener presente che, attualmente, Pechino importa una quantità importante di petrolio dal Paese Sovietico.