7 milioni di euro nell’ultimo round di finanziamenti dello scorso mese di luglio ed è così che Cubbit, idea italiana con baricentro a Bologna, ha potuto portare avanti il proprio originale progetto di cloud storage distribuito. Il gruppo è stato fondato nel 2016 da Marco Moschettini (CTO), Stefano Onofri e Alessandro Cillario (entrambi co-CEO) e Lorenzo Posani (PhD) con un obiettivo: “fornire una soluzione di archiviazione e condivisione in cloud fondata sui princìpi del Web 3.0 e in grado di garantire sovranità del dato, privacy e sicurezza al di sopra degli standard di mercato e sostenibilità“.
Cubbit, il datacenter è distribuito
L’originalità dell’approccio è del tutto evidente nel concetto stesso con cui il cloud storage è organizzato. Il concetto, infatti, è quello di frammentare i tradizionali datacenter in molti piccoli “Cubbit”.
Così il gruppo spiega le caratteristiche del sistema:
- Dove vengono salvati i dati
Su una rete distribuita di piccoli dispositivi chiamati Cubbit Cell e fornite da Cubbit. Le Cubbit Cell, dispositivi “plug&cloud”, una volta connesse creano la rete distribuita (chiamata lo “swarm”). I dati non vengono più condivisi con fornitori di servizi cloud esterni e soprattutto non vengono salvati in datacenter centralizzati che, surriscaldandosi, richiedono un largo uso di elettricità per il raffreddamento con conseguenti ripercussioni sull’ambiente. - Come vengono salvati i dati
La soluzione risponde a precisi parametri di sicurezza, privacy, sovranità del dato e sostenibilità ambientale. Con la cifratura “zero knowledge” ogni file che viene salvato sul data center distribuito di Cubbit, viene frammentato in 24 pezzi, ridondato in 36 parti attraverso algoritmi di ultima generazione e cifrato con meccanismi di cifratura “zero-knowledge” (massimo standard di sicurezza sul mercato con chiavi di cifratura di livello militare). Poi i singoli frammenti vengono distribuiti sulla rete. La “zero knowledge” è un’altra peculiarità del servizio Cubbit che si sposa con il tema Web 3.0: significa che nessuno, se non il legittimo proprietario che ha salvato i dati, può accedervi. Neanche il cloud provider (cioè Cubbit) può avere accesso ai contenuti.
L’idea era inizialmente nata come proposta consumer, pensata per utenti finali, ma ora è venuto il momento di un cambio di passo: 40 aziende aderenti al progetto Next Generation Cloud Pioneers son salite a bordo per sperimentare questo nuovo concetto e per contribuire allo sviluppo dello stesso. “Next Generation Cloud Pioneers”, spiega il gruppo, “non è un servizio di hybrid cloud né di multicloud: è invece il primo servizio di cloud storage distribuito Europeo, che nasce dall’Italia e che ha protagoniste aziende Italiane che hanno deciso di essere pioniere sul fronte di questa nuova tecnologia“.
La prima rete privata di cloud distribuito con Cubbit vede la partecipazione di Aeroporto Marconi di Bologna, Amadori, APRIL, 2050+, BC Soft, Blockchain Italia, Bonfiglioli, CNS,
Tecnologia al 100% italiana, idea italiana, capitale italiano, ingegneria italiana. L’idea è chiaramente quella di un cloud peer-to-peer, pensato per dare massima ridondanza e sicurezza ai file, garantendo la privacy e proteggendo sotto crittografia militare ogni informazione correlata. Tutto ruota attorno a 3 entità:
- Utente
accede a Cubbit direttamente tramite computer o da mobile. - Swarm
una rete P2P distribuita di Cubbit Cells su cui vengono archiviati i dati. - Coordinator
una suite di algoritmi di machine learning che ottimizza la distribuzione del payload sulla rete e si occupa della sicurezza e dei metadati. Ha anche il compito di attivare la procedura di recovery dei file sullo Swarm.
Il servizio Cubbit Cloud ha un costo consumer da 2,99 €/mese (100GB), cifra che mette al sicuro i propri file in ogni qualsivoglia scenario di disaster recovery. Dotarsi del Cubbit Cell, invece, consente di accedere al cloud con un pagamento una tantum che parte da 289 euro (512GB).