È stata approvata la prima bozza del Codice di Autoregolamentazine per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo : si tratta del frutto del tavolo di lavoro presieduto dal Vice Ministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà, cui hanno partecipato anche le istituzioni competenti (Mise, Agcom, Polizia postale e delle comunicazioni, Autorità per la privacy, Garante per l’infanzia e Comitato media e minori), le associazioni di categoria interessate (Confindustria digitale e Assoprovider in primis), nonché gli operatori del settore, tra cui Google e Microsoft.
Si tratta di cinque articoli che, partendo da recenti fatti di cronaca che hanno visto coinvolti giovanissimi vittime di ingiurie e persecuzioni online e passando attraverso la “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia” (o del bambino, come riportato sul testo), prevedono delle misure che i soggetti aderenti volontariamente al codice si impegnano ad adottare .
Questo probabilmente il primo (grande) punto interrogativo sul codice: è uno strumento di soft law , il cui rispetto è demandato interamente alla volontà politica delle parti. Infatti, per quanto presso il Ministero dello Sviluppo Economico sia istituito (art. 5) un Comitato di monitoraggio “composto da esperti di comprovata esperienza e professionalità”, in caso di un constatato e “reiterato mancato rispetto degli impegni assunti”, questo potrà solo “formulare uno specifico Richiamo”.
Per quanto riguarda gli obblighi che gli operatori si devono assumere nel controllo, cioè gli strumenti individuati per combattere il bullismo online, il codice si muove principalmente su tre direzioni: prevenzione, segnalazione e intervento tempestivo.
Per quanto riguarda il primo punto, l’art. 4 impegna le parti ad effettuare campagne di formazione, informazione e sensibilizzazione sul tema ; per quanto riguarda il secondo, invece, secondo gli art. 1 e 2 “gli operatori che forniscono servizi di social network i fornitori di servizi on line, di contenuti, di piattaforme User Generated Content e social network” aderenti si impegnano a mettere a disposizione dei propri utenti, in maniera adeguatamente visibile, diretta e semplice da utilizzare, “appositi meccanismi di segnalazione di episodi di cyberbullismo”.
Più complicato valutare le misure previste per garantire un intervento tempestivo da parte di “personale opportunamente qualificato”: l’art. 3 impegna le parti aderenti ad avere efficienti meccanismi di risposta a tali segnalazioni, e viene loro chiesta la rimozione dei contenuti lesivi entro due ore . Inoltre, le aziende “si impegnano, per quanto tecnicamente possibile e praticabile, a garantire ulteriore efficacia al contrasto del fenomeno del cyberbullismo anche attraverso
l’oscuramento cautelare temporaneo del contenuto lesivo segnalato”
Preoccupazione desta anche quanto previsto dall’art. 4, secondo il quale gli operatori aderenti potranno “attuare apposite politiche che consentano alle Autorità competenti di risalire all’identità di coloro che utilizzano il servizio per porre in essere comportamenti discriminatori e denigratori con l’intento di colpire o danneggiare l’immagine e/o la reputazione di un proprio coetaneo”: anche se questo deve avvenire nel rispetto della normativa sui dati personali, sembra conferire ai gestori dei servizi – come sottolinea Guido Scorza – “prerogative di cui non dovrebbero e spesso non vorrebbero disporre”.
In generale, d’altronde, come sempre quando si interviene sulla Rete, a preoccupare sono i modi in cui soggetti privati sono coinvolti nel controllo discrezionale dei contenuti: con degli strumenti che – per quanto idealmente adatti a rispondere ad un problema specifico – possono essere facilmente strumentalizzati, tanto che online sono stigmatizzati come armi adatte a combattere fantomatici pedoterrosatanisti .
Questa prima bozza rimarrà in consultazione pubblica fino al 24 febbraio: fino ad allora è possibile inviare commenti e proposte.
Claudio Tamburrino