Il Governo cinese ha annunciato che inizierà a passare al vaglio dei suoi servizi di sicurezza tutte le attrezzature, i prodotti ed i servizi destinati ad essere impiegati da suoi organi pubblici. Per quanto possa apparire come una normale politica per rafforzare le sue misure di sicurezza, l’annuncio sembra da inquadrare – quanto meno per la tempistica – nella vicenda che vede attualmente la Cina contrapposta agli Stati Uniti, con reciproche accuse di essere i burattinai di attacchi informatici .
La crisi dei rapporti tra le due grandi potenze è esplosa con l’accusa del Grand Jury del distretto ovest della Pennsylvania contro cinque esperti informatici dell’esercito cinese per azioni illegali di hacking, spionaggio economico ed altre offensive che hanno coinvolto sei cittadini statunitensi operanti nell’industria nucleare, dei metalli e dell’energia solare: un caso che sta dando la possibilità di far luce sugli hacker al soldo dell’esercito cinese .
La risposta di Pechino non si era fatta peraltro attendere: aveva prima sospeso la cooperazione con gli Stati Uniti nei gruppi di lavoro dedicati alla cybersicurezza, e poi promesso ulteriori rappresaglie “con l’evolversi della situazione”. D’altra parte, da quanto i documenti divulgati dall’ex spia dell’NSA Edward Snowden hanno messo alla berlina la condotta illecita delle intercettazioni dell’agenzia di sicurezza a stelle e strisce, Pechino sta cercando di intensificare le sue difese informatiche.
Con questa nuova decisione il cerchio sembra chiudersi : chi non dovesse passare i requisiti dei controlli cinesi, semplicemente non potrà fornire i propri device e servizi .
Si tratta , insomma, di un problema non da poco per grandi aziende come Cisco, IBM e Microsoft che ora dovranno vedersela con i burocrati cinesi per non veder compromesso l’accesso al più grande mercato nazionale al mondo.
Claudio Tamburrino