Registrano domini simili a quelli che ritraggono aziende e personaggi celebri, li farciscono di pubblicità e lucrano sulle violazioni dei marchi registrati: il 2008 è l’anno in cui le denunce per cybersquatting hanno raggiunto i massimi storici. E l’apertura da parte di ICANN ai nuovi generic top level domain potrebbe peggiorare la situazione.
A denunciarlo è la World Intellectual Property Organization (WIPO), snodo di segnalazioni emesse da aziende e cittadini della rete: nel corso del 2008 sono state 2.329 , in crescita dell’8 per cento rispetto al 2007, le denunce di coloro che ritengono di aver subito delle violazioni ad opera di cybersquatter ed emuli dell’URL. Dopo anni lungo i quali il fenomeno appariva in attenuazione, dal 2004 in poi il cybersquatting ha presentato un costante trend di crescita: dal 1999 sono oltre 14mila le denunce ricevute da WIPO.
Rapitori di domini e parcheggiatori di pubblicità , spiega WIPO, si concentrano su URL che evochino presso i cittadini della rete personaggi, aziende e eventi noti: dai siti apparentemente dedicati ai Giochi Olimpici in programma per il 2016 a quelli le cui URL suggeriscono si dibatta di Barbapapà, passando per quelli che dovrebbero ospitare i servizi di compagnie aeree come Air France a quelli apparentemente tributati a Ian Fleming. I settori più coinvolti, osserva WIPO, sono però quelli delle biotecnologie e della farmaceutica , dell’internet banking e della finanza, dell’IT e dei servizi di ecommerce.
WIPO agisce su scala globale, ma sono gli Stati Uniti il paese in cui si consuma il maggior numero di violazioni: ciò, spiega l’organizzazione, dipende dal fatto che i cybersquatter si rivolgono con più frequenza a registrar localizzati negli States. Il flusso più cospicuo di denunce (il 79 per cento) si scaglia nei confronti di coloro che si sovrappongono al dominio ufficiale utilizzando un analogo dominio con gTLD .com . Sempre negli Stati Uniti, chiosa WIPO, risiede il maggior numero di aziende e persone che denunciano violazioni, seguiti da Francia, Regno Unito, Germania, Svizzera e Spagna. Gli States ospitano altresì il maggior numero di cybersquatter, seguiti dal Regno Unito, dalla Cina, dalla Spagna, dal Canada e dalla Francia.
A fare eco ai dati WIPO ci sono ricerche condotte da MarkMonitor , che si occupa della tutela di marchi registrati. Solo negli ultimi tre mesi del 2008, spiega l’azienda, sono stati 449.584 gli episodi di squatting rilevati. Il quadro tracciato da MarkMonitor è più grave di quello delineato da WIPO: nel 2008 si sarebbe assistito ad un incremento del fenomeno stimabile nel 18 per cento . Il cybersquatting, inoltre, si combinerebbe con tattiche SEO per mettere in atto il brandjacking e per sfruttare al meglio il riflesso dei marchi a cui i domini abusivi si ispirano.
La situazione, avverte inoltre WIPO, si potrebbe ulteriormente aggravare. ICANN ha da tempo in programma una riforma dei domini che potrebbe consentire alle aziende di registrare suffissi personalizzati. L’ente medita di proteggere la proprietà intellettuale scoraggiando gli squatter con costose procedure di registrazione e con liste di marchi registrati da tutelare. Francis Gurry, ai vertici di WIPO, ritiene che, nonostante questi progetti per offrire garanzie ai detentori dei diritti, l’apertura a nuovi suffissi possa sfociare in procedure di controllo degli abusi “pressoché ingestibili”. C’è chi suggerisce che la migliore tutela per aziende e cittadini della rete sia quella di imparare ad agire da cybersquatter di se stessi.
Gaia Bottà