Dopo l’ apertura di un canale ufficiale del Vaticano su YouTube sarebbe anche potuto essere credibile l’ account Twitter del Dalai Lama lanciato sabato scorso dal suo segretariato OHHDL. D’altronde il sito istituzionale del religioso era già munito di strumenti web 2.0 quali il feed RSS e il webcast .
Il falso è durato solo un weekend, il tempo di mobilitare le agenzie di stampa, inclusa l’autorevole AFP, per approdare sino alla prima pagina di qualche quotidiano, salvo frettolose smentite sull’edizione seguente. I giornali non sono stati gli unici ad ingannarsi, con loro sono caduti nel tranello poco meno di 20mila iscritti al servizio di microblogging, ben felici dell’inatteso filo diretto. Eppure gli account di Barack Obama e Britney Spears usurpati il mese scorso avrebbero dovuto indurre alla cautela.
Biz Stone, cofondatore di Twitter, è intervenuto in prima persona sulla faccenda appellandosi alla violazione dei “Termini d’Uso” sull’impersonare terzi soggetti e rassicurando sull’ingresso a breve di meccanismi di verifica. La pagina è stata ripristinata ma con un avviso sulla sua non-ufficialità. In questi giorni l’azienda vorrebbe trasformare in fonte di profitto i sei milioni di utenti e vicende del genere remano in senso opposto.
Il leader spirituale tibetano è solo l’ennesima vittima della piaga dei furti d’identità sui social network: si possono rubare dati reali dalla pagina di chiunque, clonarla su un qualsiasi altro circolo abbastanza popolare, e usarla come base di partenza per trarre in inganno i contatti di questa persona. C’è chi si aspetta una esplosione del fenomeno quest’anno se le compagnie interessate non correranno subito ai ripari. Ma in questa occasione gli intenti non sembrano essere stati malevoli: i post erano di contenuto analogo a quanto proposto dal vero Dalai Lama. L’ipotesi considerata verosimile è quella di un sostenitore troppo entusiasta che abbia agito senza considerare le implicazioni di quel che stava facendo.
La massima autorità buddhista è abituata a ben più gravose incursioni online da parte della Cina, dalla censura in Google e Skype al trojan ad hoc .
Wangpo Bashi, segretario generale dell’ufficio tibetano a Parigi, liquida come falsi i profili del Dalai Lama su Facebook, MySpace e altrove, limitandosi a segnalare casi di sostituzione di persona anche a suo danno, e chiedendone rettifica ma senza impegnarsi in alcuna iniziativa legale. Secondo Bashi si tratta quasi sempre di buontemponi, nessun tibetano di sicuro, perché non scherzerebbero mai su un argomento così serio e sentito. Incalzato su di un possibile blog ufficiale, il segretario lo ha escluso adducendo ragioni di fattibilità temporali. In ogni caso, si raccomanda di diffidare dalle imitazioni.
Fabrizio Bartoloni