Roma – Non è accettabile secondo quanto previsto dalla Convenzione europea sui Diritti umani che i dati telefonici o di traffico internet siano conservati per periodi che possano arrivare fino a 36 mesi, come invece previsto da una proposta di direttiva sulla data retention .
Ad affermarlo è lo European Working Party che ha appena rilasciato un parere preliminare sulla questione ( qui in.pdf) nel quale afferma che per inquadrare il problema della data retention occorre considerare che le sue conseguenze e caratteristiche spingono ad associarla all’intercettazione delle comunicazioni. Come a dire, cioè, che si tratta di due facce della stessa medaglia.
Su queste basi gli esperti nominati dall’Unione Europea hanno ricordato che “ogni intercettazione delle telecomunicazioni, compreso il monitoraggio o la ricerca di dati sul traffico, costituisce una violazione del diritto individuale alla privacy e di quello alla riservatezza della corrispondenza. Ne consegue che le intercettazioni sono inaccettabili a meno che non rispondano a tre requisiti previsti dalle convenzioni europee: che vi sia un fondamento legale dell’azienda, che ne sia chiara l’eccezionalità in una società democratica e che sia in linea con gli scopi della Convenzione sui Diritti umani”.
Ecco, secondo il Working Party la proposta voluta da Gran Bretagna, Irlanda, Francia e Svezia non risponde a nessuno di questo requisiti ed è quindi inaccettabile.
Come si ricorderà, contro la nuova data retention si sono scagliati molti gruppi per la privacy ed una campagna sostenuta dal network di EDRI e Privacy International è stata lanciata per scongiurare che l’Europa adotti meccanismi ancora più intrusivi di controllo delle comunicazioni.
Come noto, infine, l’orientamento del Garante italiano in merito alla data retention lega il mantenimento di informazioni sul traffico degli utenti alle sole esigenze di fatturazione e commerciali. Un orientamento “tradito” dalla recente normativa italiana sulla data retention , legge che soffre di numerose falle .