Roma – E’ ormai sotto gli occhi di tutti: le istituzioni dell’Unione Europea quando si viene a politiche tecnologiche seguono sempre più spesso strade diverse, dimostrando non solo la propria inadeguatezza istituzionale in un’epoca di enormi cambiamenti ma, soprattutto, lo scollamento sempre più ampio tra l’interesse dei cittadini (ed elettori) e quello dei governi e degli interessi che li tengono in vita.
Tutto questo si è evidenziato al massimo grado con la direttiva sui brevetti nel software , bocciata sì grazie ad una forte mobilitazione internazionale ma, al fine, bloccata da opportunismi procedurali. E lo dimostra ancora di più quanto sta avvenendo su un fronte centralissimo: quello delle informazioni personali, dei dati che disegnano ciò che siamo , del loro trattamento e del diritto che ciascuno di noi ha nel rivendicare riservatezza sulla propria rete di relazioni, sui propri spostamenti, gusti ed orientamenti e via dicendo. Un diritto di cui stiamo dimenticando il valore un po’ tutti e un po’ troppo rapidamente.
La proposta di direttiva sulla data retention introdotta di recente dalla Commissione Europea è stata bocciata dal Parlamento Europeo, perché conservare i dati per un anno, e parliamo dei dati delle comunicazioni personali dentro e fuori dalla rete, è considerato dai rappresentanti del popolo europeo un eccesso .
A Strasburgo, dove si trova l’Europarlamento, hanno ben chiara la gravità, la pesantezza del monito degli organismi per la privacy nella UE, secondo cui conservare dati equivale ad intercettare e, quindi, se proprio si ritiene di doverlo fare lo si faccia per il minor tempo possibile e nelle migliori condizioni di sicurezza. Senza parlare poi dei costi che si devono sostenere (governi, UE e/o operatori) per effettuare materialmente la “retention”.
Perché parlo di scollamento? Perché la decisione del Parlamento Europeo non conta , in quanto non è vincolante come la coscienza di ogni elettore vorrebbe (e molti ingenuamente credono sia), al punto che alcuni paesi UE, tra cui Francia e Regno Unito, già stanno radunando gli alleati per portare comunque avanti il progetto in barba al voto dell’Europarlamento. La sede per farlo è il Consiglio dell’Unione, dove già da tempo procede una proposta parallela sulla data retention dai contorni ben più inquietanti di quanto bocciato, si fa per dire, dall’Europarlamento.
Abbiamo quindi organismi istituzionali diversi che si spartiscono funzioni legislative (Parlamento Europeo, Consiglio UE), che mescolano quelle legislative a quelle esecutive (Commissione UE) e che, non dovendo rispondere agli elettori europei (Consiglio, Commissione) perseguono politiche diverse sospinti da differenti interessi. Il tutto aggravato da una infrastruttura istituzionale che trasforma molti dei passaggi legislativi più delicati in vere e proprie contorsioni del diritto : basti pensare a quanto avvenne, come accennato, proprio con la direttiva sui brevetti.
In questo bailamme istituzionale non c’è da sorprendersi se Roma si sia mossa persino in anticipo e in modo molto più pesante di quanto mai teorizzato a livello europeo. E’ l’emblema di un lento degrado dell’Unione, che oggi equivale ad una progressiva sottrazione di diritti individuali.
I precedenti interventi di S.M. sono disponibili qui