Sul sito istituzionale la notizia mentre scriviamo non è ancora apparsa ( correzione in update : eccola qui , ndr.) ma la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con una sentenza ha stabilito che un database del DNA utilizzato a fini di indagine non possa contenere legittimamente dati di cittadini innocenti e assolti .
La Corte, il cui pronunciamento era atteso da tempo, si è espressa in seguito ai ricorsi di due cittadini britannici. Il primo aveva richiesto alla polizia la cancellazione di tutti i propri dati dal database dopoché era stato assolto da un crimine del quale era stato accusato, mentre il secondo pretendeva la distruzione di ogni traccia biologica assunta nel caso che lo opponeva al proprio compagno e che si è poi concluso con un nulla di fatto per la riconciliazione avvenuta tra i due.
In entrambi i casi, però, la polizia inglese ha negato la cancellazione dei dati dal database DNA , spingendo i due a fare ricorso, arrivando così a Strasburgo. Secondo i magistrati, la cui decisione potrà agevolare ricorsi che in questo senso dovessero essere presentati anche in altri paesi europei, conservare in un database le informazioni sul DNA di una persona che non sia coinvolta in un procedimento criminale né sottoposta ad indagine viola l’articolo 8 della Convenzione europea sui Diritti Umani .
Quel testo fondamentale all’articolo 8 stabilisce che tutti hanno diritto alla vita privata e alla privacy della propria famiglia, della propria casa e della propria corrispondenza. A detta della Corte, conservare i dati di persone “a cui si può ascrivere presunzione di innocenza” all’interno di un database utilizzato dalla polizia criminale può provocare “il rischio di stigmatizzazione”, dovuto al fatto che persone che non hanno alcuna pendenza con la legge vengano trattate alla stregua di chi, invece, ha subito una condanna. Tra i tanti problemi rilevati dalla Corte, anche il fatto che i dati vengano conservati indipendentemente dalla natura o dalla gravità dell’atto per il quale sono stati registrati, così come non conti l’età della persone coinvolta né vi siano limiti temporali di utilizzo .
Ma la sentenza è tanto più importante perché è uno dei pochi spartiacque tra ciò che si può fare tecnicamente, e tecnologicamente, e ciò che è giusto fare : in un’epoca in cui da gran parte del mondo politico le possibilità tecniche di monitoraggio dei cittadini vengono vissute come possibili estensioni del tecnocontrollo sull’individuo, una sentenza della Corte di Strasburgo che va in direzione contraria è stata comprensibilmente benvenuta dagli attivisti dei diritti civili. E questo anche perché i giudici aggrediscono frontalmente “la natura indiscriminata e generica” della ritenzione di quei dati, affermando che “qualora l’uso di moderne tecniche scientifiche nel sistema giudiziario fossero consentite a qualsiasi costo e senza un bilanciamento attento tra i loro benefici e l’interesse della vita privata allora i principi dell’articolo 8 ne uscirebbero irrimediabilmente indeboliti”.
Quanto deciso dalla Corte si riverbererà sulle modalità di conservazione di quei dati nel Regno Unito, un paese nel quale la società della sorveglianza si è realizzata da tempo e che non a caso ha fatto da apripista in Europa nella gestione di un database del DNA. Mentre in Scozia i dati raccolti vengono distrutti in caso di assoluzione o archiviazione dei procedimenti, in Inghilterra, in Galles e in Irlanda del Nord tutti i dati rimangono in cassa, per un totale, ad oggi, di circa 4,4 milioni di record , secondo quanto riportato dal Guardian .
L’importanza della sentenza è segnalata non tanto dal fatto che il ministro dell’Interno, la home secretary Jacqui Smith si sia detta “delusa” dalla decisione dei magistrati, quanto perché persino la Camera dei Lord aveva bocciato il ricorso dei due cittadini , ritenendo che la vicenda non costituisse un vulnus per i diritti umani. Agli attivisti quanto accaduto sembra indicare quanto urgente sia diffondere una contro-cultura, se così la si può chiamare, che metta al centro l’integrità dell’individuo in un’epoca che ha difficoltà ad elaborare l’impatto dell’evoluzione tecnologica.
Secondo Shami Chakrabarti di Liberty , la celebre organizzazione per i diritti umani, “questa sentenza è una delle più forti che si siano mai viste da quella Corte”, una decisione che assicura “la protezione della privacy di innocenti, quella protezione che il governo britannico non ha vergognosamente saputo offrire”.
A segnare la “solidità” della decisione della Corte anche il fatto che i magistrati si siano espressi sulla questione all’unanimità .
La decisione della Corte di Strasburgo impegna il Governo e le polizie britanniche a rispettare i principi che sono richiamati esplicitamente nella sentenza, ma non impegna direttamente i paesi dell’Unione Europea. Rappresenta però un punto di riferimento per tutti i cittadini europei che percepiranno una violazione dei propri diritti nel trattamento dei propri dati genetici, un trattamento che, come noto, già avviene in Italia , dove si attende ormai da lungo tempo una definitiva regolamentazione .