Il Regno Unito, opportunamente ribattezzato società della sorveglianza già alcuni anni fa, ha appena subito la sua Pearl Harbor della schedatura di massa . Un panel di esperti ha messo insieme il più completo rapporto mai pubblicato sull’argomento, e i risultati parrebbero non dare alcuna possibilità di appello: una parte non trascurabile dei database governativi vanno chiusi subito perché illegali, e per il resto solo pochissimi si salvano dall’essere affetti da problemi gravi e invalidanti.
Il rapporto, Database State , ha innestato un’accesa discussione nei media britannici e all’interno delle forze politiche per la inappellabile categoricità dei giudizi espressi: sui 46 grandi database presi in esame, 11 sono stati bollati con una “luce rossa” , la qual cosa significa che gli archivi risultano “quasi certamente illegali secondo i diritti umani o la legge sulla protezione dei dati e dovrebbero essere smantellati o riprogettati in maniera sostanziale”.
Tra le maglie nere della schedatura illegale in UK ci finisce di tutto, incluso il famigerato database dei campioni di DNA già bollato dalla corte europea di Strasburgo come violazione dei diritti fondamentali della persona. Luce rossa anche per il National Identity Register , che raccoglie i dati personali connessi alle ID card e ContactPoint , l’indice nazionale di tutti i ragazzi inglesi non ancora operativo ma già squalificato come illegale.
Oltre agli 11 casi “sicuramente” fuori legge, lo studio ha evidenziato falle gravi in altri 29 database sui summenzionati 46, appioppando loro una luce “ambra” e giudicandoli affetti da “problemi significativi e probabile stato di illegalità”. Il governo ha a disposizione migliaia di database diversi, continua il rapporto, così tanti che nemmeno ne conosce il numero preciso , spende 16 miliardi di sterline all’anno e spenderà 105 miliardi entro i prossimi cinque anni se anche solo un terzo dei progetti messi in cantiere andasse poi a regime.
Quel che è peggio, secondo il rapporto, tutti questi soldi vanno a finire al vento, non portano benefici se non “illusori” e non fanno altro che danneggiare i più deboli. Dei tre maggiori database messi in piedi per salvaguardare la gioventù del regno, ad esempio, tutti falliscono nel loro scopo.
“Mai i ragazzi sono stati così soppesati, misurati, classificati, monitorati e discussi” accusa Terri Dowty, co-autrice di Database State e attivista di Action on Rights for Children . “Lo stato è sospeso sopra di loro come un parente troppo ansioso alla continua caccia di problemi – continua – ma questo livello di intrusione nelle vite private dei ragazzi e della famiglia non ha semplicemente nessuna giustificazione sulla base delle sole buone intenzioni”.
“Tutti gli aspetti delle nostre vite verranno circondati da masse di dati raccolti senza il nostro consenso – continua il rapporto – e condivisi ben oltre gli scopi per i quali erano stati raccolti in origine”. Lentamente ma inesorabilmente, i cittadini si stanno svegliando dal sonno della ragione e stanno acquisendo consapevolezza dello stato delle cose, perdendo la fiducia nel governo che viene incalzato dal ministro ombra della giustizia dei Tory come principale responsabile del repentino e illiberale cambiamento dei rapporti tra governati e governanti nell’arco dell’ultima decade .
Oltre a fotografare il triste stato di cose in terra d’oltremanica, a ogni modo, Database State formula alcune raccomandazioni su come risolvere gli attuali problemi dei database ossessivo-compulsivi inclusi il rispetto assoluto dei diritti umani e le norme sulla protezione dei dati, il diritto dei cittadini di accedere alla maggioranza dei servizi pubblici in maniera anonima e la gratuità delle cause legali in merito di diritti umani avviate in conseguenza della pervasività dei database di cui sopra.
In attesa della reazione del governo britannico, mai come ora messo sotto accusa nella sua fondamentale funzione di guardiano del rispetto dei diritti dei singoli contro lo strapotere del controllo di stato, è significativo il fatto che mentre tutti i database del regno vengono fatti passare nel tritacarne l’archivio per la protezione dei ragazzi, che avrebbe dovuto entrare in funzione a partire dal prossimo 12 ottobre con i suoi oltre 11 milioni di record su persone che hanno in qualche modo a che fare con bambini e adulti “vulnerabili” sia stato rimandato al 26 luglio 2010.
A giustificazione del ritardo si parla di non meglio specificati “problemi informatici” e preoccupazioni sulla sicurezza del database, guarda caso le stesse problematiche emerse nell’autunno del 2008 quando sarebbe dovuto finire online.
Alfonso Maruccia