Esiste un posto dove i potenti mezzi di spionaggio della NSA non siano ancora entrati ad ascoltare e registrare tutto? Apparentemente no, e anche i rappresentati dei paesi membri alle Nazioni Unite sono caduti vittima del tecnocontrollo dell’intelligence statunitense, con tanto di cattura dei flussi video delle riunioni interne.
La nuova puntata del Datagate arriva grazie al magazine tedesco Der Spiegel e ai soliti documenti forniti dalla talpa Edward Snowden, e spiega come la NSA sia riuscita a crackare la protezione crittografica del sistema di trasmissione delle teleconferenze interne all’ONU nell’estate del 2012.
Da allora in poi, spiegano i documenti, l’intelligence ha iniziato a spiare, analizzare e archiviare il materiale video e in sole tre settimane il numero di comunicazioni decodificate è cresciuto da 12 a 458. La NSA è in particolare interessata a obiettivi interni all’ONU quali l’Agenzia per l’Energia Atomica e la delegazione europea.
Oltre a spiare i paesi stranieri all’ONU, rivelano i nuovi documenti, l’intelligence USA ha attivo un programma chiamato “Special Collection Service” che consiste nell’utilizzo di un metodo di spionaggio classico (cimici piazzate nelle stanze da tenere sotto controllo) per intercettare le comunicazioni riservate che circolano nelle ambasciate e nei consolati di 80 diversi paesi stranieri.
La NSA non si fa scrupolo di controllare i membri delle Nazioni Unite, rivelano i documenti forniti da Snowden, quindi non stupisce più di tanto venire a sapere dell’esistenza un programma di “rimborsi” economici dal valore di milioni di dollari per le grandi aziende statunitensi dell’hi-tech coinvolte in partnership dichiarate poi parzialmente illegali dalla corte FISC (Foreign Intelligence Surveillance Cour).
L’intelligence statunitense si dichiara massimamente rispettosa della legge e della privacy (degli statunitensi), Barack Obama difende gli uomini in nero elogiandone le capacità di autocontrollo emerse dai documenti recentemente pubblicati, ma nuove, ulteriori rivelazioni parlano di agenti e analisti impegnati a spiare ex-fidanzate e compagne/i secondo una consuetudine – formalmente stigmatizzata – nota all’interno dell’intelligence con la sigla LOVEINT .
I potenti mezzi di spionaggio e tecnocontrollo a disposizione degli analisti dell’intelligence USA non hanno virtualmente limiti, e secondo l’attore Matt Damon è stato un bene che Edward Snowden abbia deciso di fare quello che ha fatto: l’ex-supporter del presidente Obama invoca l’istituzione di un referendum per stabilire se i cittadini statunitensi siano davvero disposti a svendere le loro libertà civili a favore di una supposta sicurezza superiore.
Snowden, dal canto suo, si trova come sempre al centro della scena e non certo sotto una luce positiva: l’ex-analista della CIA accusa il governo britannico di diffondere informazioni riservate sull’esistenza di operazioni di spionaggio in Medioriente, e di farle arrivare al pubblico tramite giornali con cui lui non ha mai lavorato ( The Independent ) così da accusare implicitamente di danneggiare la sicurezza UK Snowden stesso, il Guardian e gli altri quotidiani con cui la talpa ha collaborato. La vicenda Datagate si fa sempre più ingarbugliata, complessa e pericolosa, e nel tentativo di alleggerire una pressione sempre più evidente e concreta da parte del governo britannico il Guardian stringe una partnership con lo statunitense New York Times per le future pubblicazioni sulle attività di spionaggio del GCHQ.
La caccia del gatto al topo continua mentre le autorità USA stanno ancora cercando di capire quali e quanti documenti Snowden abbia sottratto osservando i log di accesso ai sistemi dell’intelligence, un’indagine sin qui infruttuosa grazie alla capacità della talpa di coprire o cancellare a dovere le proprie tracce.
La sorveglianza globale non può naturalmente sottrarsi ai tentativi più fantasiosi di critica o meta-critica, prova ne sia la comparsa in rete di un fittizio progetto PRSM in grado di “condividere tutto” e che ha già registrato un account per ogni netizen in circolazione. Chiedendo di saperne di più si scopre che PRSM è opera della Electronic Frontier Foundation e della sua opposizione proattiva al tecnocontrollo della NSA. Un tecnocontrollo che tra l’altro è anche a disposizione del partner neozelandesi quando si tratta di colpire i cyber-locker e i presunti “facilitatori” di pirateria digitale come MegaUpload e il suo founder Kim Dotcom, rivelano gli affidavit censurati resi pubblici dalle autorità kiwi.
Alfonso Maruccia