La paura di essere intercettati corre veloce da Parigi a Madrid, da Roma a Tel Aviv, la paranoia e le intercettazioni scorrono sulle dorsali e sui fili del telefono spaventando Re e Primi Ministri: dopo la Francia , anche la Spagna scopre di non essere stata risparmiata dalle operazioni di tecnocontrollo delle agenzie di intelligence statunitensi.
A rivelarlo sono sempre fonti che avrebbero avuto accesso ai documenti segreti ottenuti dell’ex tecnico dell’NSA in fuga Edward Snowden. Secondo quanto riferito, ad essere messi sotto controllo sarebbero state le conversazioni telefoniche, i messaggi e le email di milioni di cittadini spagnoli, tra cui membri del governo e politici, comunicazioni di cui sono stati raccolti i metadati: per il momento – tuttavia – Madrid non ha commentato ufficialmente la vicenda per non rischiare di intaccare le relazioni con Washington in mancanza di prove certe, limitandosi a convocare l’ambasciatore statunitense per chiedere spiegazioni.
Sotto le pressioni della stampa spagnola – tuttavia – uno dei membri del Governo conservatore di Mariano Rajoy si è lasciato sfuggire che “se intercettazione vi è stata, essa è avvenuta sotto Zapatero”, lasciando intendere in questo modo che si sappia qualcosa di più.
I confini della rete di tecnocontrollo dell’NSA, d’altronde, sono ancora tutti da verificare: sia per quanto riguarda gli stati vittime di spionaggio e collusi, sia per quanto riguarda le conseguenze. Mentre, infatti, l’intelligence italiana dichiara di non aver alcuna prova dello spionaggio statunitense a danno dell’Italia (che potrebbe essere la vittima che manca all’appello delle rivelazioni), sembra che nel 2011 gli Stati Uniti abbiano chiesto la informazioni al Giappone circa la possibilità di intercettare comunicazioni attraverso cavi di fibra ottica .
Inoltre, secondo quanto scrive Frederik Obermaier sul quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung esisterebbe un accordo segreto (nome in codice “Lustre”) tra la Francia, Israele , Svezia, Italia e cinque paesi anglofoni notoriamente alleati sul fronte della sorveglianza, definiti “i Cinque occhi” (e riconosciuti come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Nuova Zelanda, il Canada e l’Australia), secondo il quale essi avrebbero collaborato sul fronte della sorveglianza impegnandosi tuttavia reciprocamente a non spiarsi: tale accordo – se davvero fosse in atto – da un lato dimostrerebbe come sia stato violato e dall’altro come sia consuetudine per i paesi spiarsi reciprocamente.
Se dunque appare plausibile che non sia lo spionaggio in sé a poter compromettere irrimediabilmente le relazioni tra le due sponde dell’Atlantico, più difficile capire quali saranno le mosse dei Paesi rimasti scottati dalla scoperta del Datagate: in Germania sembra già parlarsi della creazione di una sorta di “Internet locale” dedicata agli utenti tedeschi e da sviluppare accanto a quella globale, ma fuori dal controllo di sorveglianza di PRISM.
In Italia, invece, diversi membri del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che vigila sui servizi segreti, preme per la convocazione d’urgenza del direttore del Dipartimento informazioni per la sicurezza (DIS) per chiedere ulteriori indagini e lumi all’ambasciatore statunitense: a spingere al dubbio i membri del Copasir è anche un documento su Cryptome – sito di soffiate antesignano di Wikileaks – secondo cui l’NSA avrebbe tenuto sotto controllo 46 milioni di telefonate italiane.
Claudio Tamburrino