In un Paese da campagna elettorale permanente, non è mai questione di capire che succederà se si voterà, bensì quando. Nel caso dell’Italia peraltro accade sempre prima di quanto si pensi. E pure se fosse alla scadenza naturale, non sarebbe pressoché certo il peso che più o meno consapevolmente, scientificamente, mediaticamente, daremo ai social network, ai meme, alle dark ads e a tutto l’armamentario internettiano per appellarci alle giustificazioni su vittorie e sconfitte?
Ecco perché è importante mettere alcuni punti fermi, stabilire alcuni principi sui quali potremmo finalmente aprire conversazioni basate più sui fatti che sulle opinioni, sulle statistiche e non sulle percezioni o i più fallaci dei “sensi comuni”.
Ci aiuta il saggio scritto da Fabio Chiusi e Claudio Agosti, “The Influence Industry Personal Data and Political Influence in Italy” (pdf), uno dei 14 studi del Centro di ricerca internazionale Tactical Tech commissionati per identificare ed esaminare alcuni degli aspetti chiave e le tendenze nell’uso dei dati e delle strategie digitali nelle elezioni e referendum recenti e / o imminenti in molte nazioni, tra le quali in Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Francia, India, Spagna – Catalogna, Regno Unito, Stati Uniti e, appunto, Italia. In questo testo si fa innanzitutto un’ottima raccolta dati, che sfocia in una prima analisi del panorama dell’industria informativa e dei dati alle ultime elezioni che hanno avuto per certi versi degli esiti clamorosi. Quelle del 4 marzo 2018.
La domanda sorgente di tutta l’operazione è la seguente: come sono utilizzati i dati individuali nelle campagne politiche nel mondo?
I dati e la politica
Il saggio è subito apprezzabile per un primo aspetto: pur dando il giusto peso alle tecnologie della comunicazione e pur essendo particolarmente versati i due autori alla riflessione sulle utopie tradite di Internet (Chiusi è un grande giornalista freelance esperto di trasparenza e sorveglianza; Agosti è uno scienziato dei dati, avvocato, hacker, ideatore di facebook.tracking.exposed che consente di analizzare l’effetto degli algoritmi sulla società) si comincia subito mettendo bene in chiaro la reale penetrazione dei social media rispetto alla televisione. La televisione ha una penetrazione di quasi il 100% in Italia, mentre la Rete del 50%. Al tempo stesso la raccolta pubblicitaria su canale televisivo è fortemente incentrata su un oligopolio a tre attori, mentre la stampa soffre gravemente la caduta di abbonamenti e introiti rendendo così giocoforza particolarmente fragile il mondo informativo. Se non si parte da questi dati non si capisce il voto italiano, non si sente il peso e si non vede la dinamica che le idee circolanti hanno avuto sull’elettorato; sviluppatesi grazie anche a Internet, ovvio: ma se pensate che si vincano le elezioni in Italia su Facebook… sbagliate di grosso.
I dati. In questo saggio sull’uso dei dati non si scordano mai i dati “sui dati”, e neppure ci si dimentica, d’altro canto, che abbiamo tutte le informazioni che servono per affermare senza tema di smentite che oggi gli algoritmi – i mattoncini matematici di cui sono costituite le piattaforme – sono l’equivalente contemporaneo delle politiche sociali delle democrazie del dopoguerra e dovrebbero essere molto più trasparenti e valutabili collettivamente di quanto sono oggi.
Nel saggio, purtroppo soltanto in inglese (ma è facilmente traducibile), scorrono sistematicamente i casi più emblematici. Ad esempio, la piattaforma decisionale “Rousseau“, afflitta da problemi nativi di coding così gravi da essere stato oggetto di molteplici hack e violazioni dei dati degli utenti, inclusa una violazione nel 2017 che ha colpito oltre 140.000 persone. In uno di questi casi, un white hat ha violato il sito per segnalarne la vulnerabilità denunciando l’insensibilità dell’opinione pubblica e degli stessi utenti circa l’integrità e validità dei processi di nomina dei candidati.
Bellissime le pagine dedicate alle campagne mirate grazie al targeting, come premessa di un fenomeno che in Italia, in particolare, ha mandato in confusione più di un esperto: quello di bot-net umane dai comportamenti così altamente disciplinati e prevedibili da aver alimentato seri sospetti – in realtà senza fondamento – di manovre dall’estero. Nel saggio invece troverete ben spiegato il ruolo di Facebook, che è quello di servire matematicamente l’eco delle strategie più polarizzanti e menzognere: situazione peggiorata dalla mancanza di normativa stringente sulla trasparenza per le campagne politiche digitali. Non ci sono, di fatto, grimaldelli per mettere a nudo le varie “bestie” in mani ai leader politici e così ci mancano i dettagli, veri, utili, per giudicare come i politici usano i dati che volontariamente o meno gli elettori concedono per plasmare l’opinione pubblica.
Se leggerete questo saggio, troverete nella sua parte finale una perfetta illustrazione del limite imposto dai dati, oltre il quale vincerebbe la tentazione colpevolista, complottista, di Internet come causa dei populismi (una sciocchezza enorme): di fronte agli esperimenti fatti di vari bot-account e relative repliche di contenuti, gli esiti non smentiscono la storica differenza culturale tra destra e sinistra – più ripetitiva e acritica la prima, più ricca ma meno compatta la seconda – rimandando perciò a elementi antropologici, sociali, culturali, contingenti e strutturali che vanno oltre e nascono ben prima della Rete, i social, i big data, il loro trattamento, e invece ci raccontano della natura indissolubilmente umana e irrazionale del voto e dell’opinione politica.